Il manager di Boston esporta in Usa: “Sono l’anti-Amazon del pecorino”

“Sono l’anti-Amazon, mi piace andare di persona a scegliere i prodotti migliori, conoscerne i segreti e spedirli ai nostri partner negli Usa che entro due giorni li consegnano agli chef. Una filiera snella e pulita, con un apporto umano anche alla consegna”. Jon Brownstein è nato a Boston nel ’66, ma dal ’90 vive a Cagliari e difende con orgoglio il valore dei prodotti sardi. “Per promuovere oltre oceano le eccellenze, mi cercano anche da altre parti d’Italia, ma io rifiuto ogni proposta perché punto tutto su quest’Isola, sull’immensa qualità delle sue produzioni”, ribadisce con l’accento marcato che ricorda le origini statunitensi anche quando dice “anda beni“. Jon da quasi quattro anni ha deciso di dedicarsi anima e corpo al progetto ‘Trigu’: esporta verso gli States e ha in Seattle e nella Silicon Valley i suoi principali clienti, quasi a chiudere il cerchio con le attività nel settore digitale che ha svolto in passato in Sardegna al fianco di Nichi Grauso e Renato Soru.

“Ero a Cagliari per insegnare inglese quando il mio amico Alberto Rodriguez, persona stupenda che manca tanto a questa terra, mi chiese un favore: dovevo tradurre la lettera con cui Nichi Grauso voleva coinvolgere Nicholas Negroponte nella nascita di Video On Line – racconta Brownstein di ritorno da un giro per caseifici -. L’accordo fu chiuso e io venni promosso. Right place at the right time. Tradotto: mi trovai al posto giusto nel momento giusto. Cominciò così la mia avventura con Grauso”. Ebbe poi un ruolo cruciale nella nascita della costola praghese di Video On Line, da cui nacque Tiscali. “Conoscevo già Renato Soru quando si occupava di supermercati e gli vendetti la nostra Vol-case, una valigetta che conteneva tutto quello che serviva per avere un Internet service provider, grazie alla quale fondò Czech On Line – ricorda -. Poi quando tornò qui e decise di fondare Tiscali, lo seguii e diventai responsabile commerciale”. Quando la Sardegna era all’avanguardia mondiale sul fronte delle telecomunicazioni, Brownstein ha messo qui le sue radici e ora si ritrova a vendere prodotti dalle origini antiche ai più grandi chef che negli Usa cucinano per i guru del web.

“Ho cominciato quasi per gioco, quando mio figlio 19enne è andato a vivere a Seattle: sono partito dalla considerazione che negli Stati Uniti sono famose la Sicilia, il Lazio, la Toscana, la Puglia e altre zone d’Italia coi loro prodotti tipici, ma quasi nessuno conosceva la Sardegna, nonostante abbia formaggi, olii, vini e carciofi – solo per citarne alcuni – che non hanno eguali”. L’idea ha preso forma e il manager bostoniano ha cominciato a girare l’Isola per trovare le eccellenze. “Lavoro con chef che sono disposti a investire su un prodotto che costa più degli altri perché ne capiscono il valore. Faccio la selezione puntando su aziende sarde piccole e medie, perché quelle grandi negli Usa ci sono già. In America la percezione dell’Isola sta cambiando: grazie anche all’importanza dei centenari e della blue zone sta passando il concetto sull’alta qualità della vita che abbiamo qui”. Brownstein parla da sardo: “Se devo essere sincero, quello che mancava era lo storytelling, il saper raccontare la nostra storia e le origini di certi formaggi o di certi tipi di olive, da cui ricaviamo un determinato olio con un particolare procedimento. Se lo spieghi bene, riesci a farlo apprezzare meglio”.

Ma Jon non si limita a raccontare la Sardegna agli chef statunitensi: li porta direttamente nella terra dove hanno origine i prodotti che vende. “Con un amico abbiamo già organizzato i primi tour per chef, l’anno scorso ad aprile sono venuti per un corso intensivo di sette giorni e non abbiamo dato loro nemmeno la possibilità di vedere il mare. Nessuna distrazione. Hanno imparato a fare il filindeu e le seadas, hanno preparato il formaggio, cotto il maialetto sotto terra e siamo andati da una signora 95enne di Morgongiori che ci ha insegnato a fare le lorighittas – racconta con la soddisfazione di chi è riuscito a colpire al cuore gli ospiti -. Poco tempo dopo, due chef sono tornati dagli Usa per cercare una casa da acquistare qui in Sardegna. Un’altra cliente, invece, ha organizzato una cena sarda nel suo ristorante in un piccolo paesino dell’Ohio e pochi minuti dopo l’annuncio su Facebook aveva già riempito tutti i cento posti e ora dovrà rifarla”.

Riuscire a penetrare nel mercato statunitense, tra concorrenza e dazi, non deve essere semplice. “I balzelli doganali di Trump incidono sui formaggi vaccini, quelli sono tassati al 25 per cento, mentre i pecorini e caprini, semi-stagionati o stagionati, e ‘da grattugia’, non sono tassati. Per esempio, abbiamo il ‘Gran Cao’ che è al 100 per 100 latte ovino, ma fatto coi fermenti che si usano per preparare il grana: assomiglia al parmigiano ma non ha dazi, è una grande opportunità per la Sardegna – spiega -. C’è una grande domanda per il pecorino ovi-caprino sardo, un prodotto che ha poca concorrenza”.

Jon è un sognatore, che non vuole diventare miliardario conquistando tutti i mercati possibili, ma crede che questo tipo di attività possa essere replicato da altri e contribuire a portare i tesori della Sardegna in giro per il mondo. “Venendo dalla tecnologia, non ho preconcetti e grazie a questo cerco di rinnovare il settore e ho la fortuna di lavorare con tanti giovani e di creare opportunità occupative per loro – dice ancora -. In Sardegna sto trovando moltissimi ragazzi, figli di imprenditori, che hanno voglia di innovare. La selezione dei produttori, che devono avere una visione moderna del mercato, è ancora più importante della scelta del prodotto. Spero che la gente mi copi o qualche investitore voglia unirsi al mio progetto ‘Trigu’: cerco sempre giovani che abbiano voglia di mettersi in gioco, magari raggiungendo mio figlio per girare gli Stati Uniti e diffondere i nostri tesori“.

Per quanto riguarda le zone su cui spingere le esportazioni, in questi anni Jon ha calibrato il tiro. “Tutta l’area orientale, tra New York e Philadelphia, è affollata di prodotti e agenti, il mercato è inflazionato. Quindi ho puntato su Seattle, dove c’è mio figlio e tanti grossi potenziali clienti; lì vicino c’è anche Portland, la casa della Nike. Poi ho preso contati con amici di San Francisco e deciso di investire lungo la West Coast, caratterizzata da un mercato più propenso alla qualità e dove non hanno paura di spendere. Chef come Massimiliano Conti, per il suo ‘La Ciccia’, non badano a spese per avere i prodotti migliori da offrire ai loro clienti”.

Jon ha scelto la strada più veloce per la consegna. “Un prodotto fresco non può arrivare dopo trenta giorni di mare. Se paghi per la sua qualità, devi poterlo avere nel minor tempo possibile: un olio appena pressato, e che quindi ha determinate caratteristiche, va recapitato quanto prima – conclude il bostoniano di Cagliari -. Ero da Michele Cuscusa, che produce formaggi di latte crudo e bio, come si faceva una volta: sono sapori di un altro tempo e questa per me è la Sardegna. Dal suo caseificio di Gonnostramatza la mattina del 30 abbiamo spedito quattro forme di formaggio per il cenone di Capodanno a New York“.

Marcello Zasso

[foto di Gabriele Boi e Jon Brownstein] [metaslider id=884940]

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