Covid, l’anno orribile per l’occupazione: donne e giovani prime vittime del 2020

Il 2020 sul fronte del lavoro è stato davvero, questa volta cifre certificate alla mano, un anno orribile. La pandemia ha colpito un’economia e un mercato del lavoro già profondamente segnati da una lunga crisi, ma la Sardegna ne ha subito gli effetti più devastanti.

Se prima le cifre non erano ufficiali o ancora premature, ora il report stilato dall’Osservatorio sul mercato del lavoro dell’Aspal analizza le cifre definitive dell’andamento dell’intero anno del Covid in Sardegna.

La crisi

A cominciare dai due dati che più mostrano la crisi occupazionale nell’Isola: un calo netto degli occupati (-27%) e un aumento importante degli inattivi (+28%). Quest’ultimo dato è allarmante: molte persone, scoraggiate dalla situazione, non solo non hanno più lavoro ma hanno persino rinunciato a cercarlo.

E poi peggiora ancora  la qualità del lavoro perché crescono i contratti part-time rispetto ai full-time e quelli a tempo determinato rispetto a quelli a tempo indeterminato, dunque maggiore precarietà ed erosione del reddito familiare.

Anche il raffronto con le medie nazionali e del Mezzogiorno d’Italia non è positivo. Il report evidenzia infatti che in Sardegna il mercato del lavoro è peggiorato in modo netto: riduzione degli occupati del -5 per cento (contro il -2% sia a livello nazionale che del Mezzogiorno); incremento degli inattivi del +7 per cento (contro il +4% della media nazionale e il +3% del Mezzogiorno).

Le fasce più deboli

La crisi non ha ovviamente colpito in modo uniforme tutto e tutti. Tra chi è rimasto schiacciato dalla frana ci sono le donne e le fasce giovani della popolazione sarda, che hanno pagato il prezzo più alto in termini di occupazione aggravando un dato già negativo. Attualmente infatti il tasso di occupazione è del 45,1 per cento per le donne contro il 59 per cento degli uomini, con una differenza importante di 14 punti, mentre il tasso di disoccupazione giovanile registra un 40,9 per cento, contro il 29,4% della media nazionale.

Cifre che rispecchiano l’andamento nazionale. Un crollo della disoccupazione quasi esclusivamente femminile, con 99mila donne che sono finite disoccupate o inattive. Un fenomeno che si ritrova, sebbene con numeri un po’ meno estremi, anche guardando a tutto l’anno. Dei 444mila occupati in meno registrati in Italia in tutto il 2020, il 70 per cento è costituito da donne.

Il motivo per cui il crollo occupazionale nell’Italia messa in ginocchio dalla pandemia è un affare soprattutto femminile ha a che fare con la natura del lavoro stesso. Le donne sono impiegate soprattutto nei settori che più di tutti stanno vivendo la crisi, come quello dei servizi e quello domestico, spesso con contratti che danno poca sicurezza e stabilità, come il part-time. Per questo oggi sono le prime vittime sacrificali dei datori di lavoro, un fenomeno a cui nemmeno il blocco dei licenziamenti è riuscito a mettere un freno.

Le differenze geografiche

Alcuni territori sono stati colpiti in maniera più pesante di altri. Dai raffronti a livello provinciale emerge che Sassari, forse per il peso che in questo territorio ha il settore turistico, è la provincia che ha i dati peggiori (-11% di occupati, +15% di inattivi). I territori dei CPI che hanno sofferto di più sono quelli a forte vocazione turistica (come Olbia, Castelsardo e Muravera) e quelli che ospitano i grandi hub di servizi a livello regionale (Cagliari e Sassari). La crisi sembra invece aver risparmiato maggiormente i territori dei Centri per l’impiego dove è presente un settore agricolo forte come Terralba, Senorbì, Isili, Sanluri e Bonorva: in queste aree le variazioni percentuali negative delle assunzioni sono molto inferiori alla media degli altri territori regionali.

Le differenze settoriali

I settori che hanno subito un calo percentuale più marcato delle assunzioni sono quelli che necessitano della presenza fisica del cliente come alberghi e ristoranti, attività artistiche. Il settore agricoltura e pesca mantiene gli stessi livelli di assunzioni del 2019 e due settori addirittura crescono: servizi domestici e servizi finanziari (quest’ultimo è cresciuto del 23% come numero di assunzioni segno che per far fronte alle ristrettezze della crisi, molte famiglie e imprese sono state costrette a ricorrere al credito in misura maggiore che in passato).

Da segnalare inoltre che i livelli di istruzione continuano ad avere un valore elevato: i tassi di occupazione tra i laureati sono più che tripli rispetto a chi ha la licenza elementare o nessun titolo (il 77,5% contro il 25,8%) inoltre nel 2020 il tasso di occupazione dei laureati non solo non è diminuito ma è addirittura lievemente cresciuto.

Mar.Pi.

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