Concessioni balneari verso la proroga. “Non siamo solo venditori di ombra”

Tutti contro la famigerata direttiva Bolkestein, e l’Italia ha segnato un punto, anche se interrogativo, visto che sullo sfondo si intravede lo spettro della procedura di infrazione: in Senato nei giorni scorsi è stata raggiunta l’intesa per sospendere l’applicazione della direttiva europea per altri 15 anni al comparto balneare.

Ad annunciarlo con entusiasmo su Facebook è stato lo stesso ministro del Turismo, Gian Marco Centinaio (Lega): “Abbiamo raggiunto un primo obiettivo, fondamentale perché ci consentirà di lavorare ancora meglio per trovare una soluzione definitiva e permetterà ai balenari di programmare le loro attività e fare gli investimenti che meritano. La partita però non si chiude qui. Adesso il mio impegno è quello di proseguire il tavolo tecnico con le associazioni di categoria per prevedere l’uscita totale dalla Bolkestein. È una questione di dignità e di difesa del nostro Paese. La Commissione europea dovrà necessariamente capire le nostre istanze”.

In sintesi questa proroga significa che gli imprenditori che gestiscono spiagge e bagni potranno mantenere le concessioni in essere – ottenute nel passato e spesso a costi davvero contenuti – senza il rischio che queste vengano messe a gara.

Gli stabilimenti balneari in realtà sono toccati dalla direttiva soltanto in maniera indiretta. La direttiva dell’Unione europea – la 2006/123/CE – riguarda i servizi nel mercato europeo comune, fu presentata nel 2004 e approvata ed emanata nel 2006. Bolkestein, allora commissario europeo per il mercato interno della Commissione guidata allora da Romano Prodi, aveva curato e sostenuto la direttiva, da qui il nome.

L’obiettivo delle norme è stabilire la parità di tutte le imprese e i professionisti nell’accesso ai mercati dell’Unione europea. Per questo stabilisce, tra le altre cose, che servizi e concessioni pubbliche debbano essere affidati ai privati tramite gare con regole equilibrate e pubblicità internazionale. La sua approvazione fu il frutto di lunghe e difficili trattative e il risultato finale lascia ancora molte falle aperte: tra queste le “discriminazioni basate sulla nazionalità”, che puntano a semplificare le procedure per esercitare temporaneamente l’attività all’interno di un paese dell’Ue, ma che hanno provocato le recenti proteste dei balneari, di fronte alla scadenza delle concessioni e alla conseguente “asta” europea per le successive assegnazioni, senza tener conto degli investimenti fatti per la realizzazione delle loro strutture sul mare.

L’emendamento  alla Manovra che sancisce l’accordo in Senato è stato firmato dai senatori leghisti, ma trova il pieno appoggio del Movimento Cinquestelle e di moli imprenditori o associazioni di categoria, come la Cna nazionale, ma incontra l’opposizione di forze come +Europa che parla della “più vecchia delle scelte anti concorrenziali, clientelari e illegittime che scaricherà nuove multe su milioni di contribuenti”.

“Non si canti vittoria troppo presto, di queste prese di posizione ne abbiamo già visto – commenta con cautela Claudio Del Giudice, presidente del Sib Sardegna, il sindacato dei balneari italiani. “Fa piacere che le istituzioni si siano mosse, c’è stata una buona interlocuzione con i parlamentari sardi, ma attendiamo gli sviluppi, nessuna decisione è stata presa”.

Per Del Giudice, “buona parte delle coste italiane sono devastate da erosione e vicissitudini atmosferiche, congelare l’applicazione di questa direttiva sarebbe l’optimum per il comparto, si pensi che la nostra categoria non dovrebbe nemmeno rientrare tra quelle ricomprese nella norma, perché vendiamo servizi, non beni. Non siamo solo ‘venditori di ombra'”.

Ma quali sono i danni che possono derivare da norme nate per assicurare equità nell’accesso del mercato? “In Sardegna le nostre imprese – quasi 600 contando anche i gestori di pontili, diving, ecc. che danno lavoro a 1.500 operatori fissi e 4.500 stagionali  – sono piccole e verrebbero schiacciate dalla concorrenza dei grossi gruppi esteri pronti a conquistare una fetta delle nostre coste”, spiega Del Giudice. “Siamo imprese spesso familiari, facciamo investimenti che non possono rientrare in soli due o cinque anni di lavoro – continua – il sistema balneare sardo occupa il 7% della costa dell’isola, il problema è che le concessioni sono concentrate solo in alcune zone”. “Inoltre se un nostro imprenditore volesse fare impresa in Spagna non potrebbe: lì ci sono proroghe a 75 anni, in Portogallo a 50 anni”.

In Sardegna quindi “servirebbe un intervento regolatore della Regione, che ha in mano il 25 per cento del demanio marittimo ma poi ha demandato la gestione ai Comuni che però non sono preparati”.

Marzia Piga

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