Un serpentone formato da circa 300 persone, illuminato dalla debole luce delle candele, ha attraversato la città di Carbonia, venerdì sera, sotto una pioggia battente e con un freddo insolito per questa zona della Sardegna. Erano gli operai delle imprese d’appalto delle aziende di Portovesme, accompagnati dai loro familiari, dagli amici, dai conoscenti e da semplici cittadini; ma c’erano anche le autorità politiche, amministratori pubblici e sindaci a rappresentare l’intera collettività e la chiesa con i suoi
vicari.
Davanti a tutti i caschetti degli operai, simbolo di una lotta per un lavoro che non c’è più, una crisi annunciata ma che nessuno ha voluto responsabilmente affrontare con i mezzi necessari ed una lungimiranza politica che è mancata, una crisi industriale che ha interessato circa 3mila buste paghe che oggi mancano nel territorio con una conseguenza a domino devastante per l’economia dell’intero territorio.
Sulle facce la tristezza e la stanchezza per una vertenza dal duplice aspetto: salvaguardare nell’immediato la sopravvivenza del proprio nucleo familiare con una cassa integrazione che ancora oggi non si sa se arriverà e, successivamente, tentare di rimettere in moto il bacino industriale di Portovesme, unico sito della zona al momento in grado di distribuire reddito. Tutto ciò in attesa che il tanto conclamato Piano Sulcis dai ministri prenda corpo e si trasformi in vera realtà economica.
Come hanno ripetuto gli operai, la lotta continua.
Carlo Martinelli