Saranno almeno una trentina gli sportelli che, tra Banca di Sassari e Banco di Sardegna, l’Isola andrà a perdere. La stima è contenuta nel piano industriale 2015-2017 approvato l’11 febbraio dal Cda della capofila emiliana Bper.
Il giro di vite lo ha annunciato l’amministratore delegato Alessandro Vandelli: la chiusura delle filiali sarde rientra nel programma di tagli nazionali, pari a 130 sportelli spalmati in tutta Italia, il 10 per cento della rete. I lucchetti scatteranno negli uffici in passivo, e nell’Isola se ne contano appunto una trentina, concentrati per la maggior parte nei piccoli Comuni, quindi dove l’economia gira poco e gli istituti di credito non hanno più interesse a mantenere un presidio.
Con la cancellazione delle 130 filiali, la Bper punta a ridurre di 3,5 punti base il cosiddetto cost income, ovvero il rapporto tra le spese operative (e si va dal personale alle proprietà) e il margine di intermediazione (è uno degli indicatori di redditività). Attualmente gli sportelli Banca di Sassari sono 57, mentre il Banco ne somma circa 300.
Vien da sé che la mazzata si tradurrà pure in una riduzione dei dipendenti che entro il 2017 dovranno scendere a 10.826, cioè un saldo negativo di 581 buste paga. Al momento non si conosce l’entità dei tagli sull’occupazione sarda, anche perché la trattativa tra management e sindacati è in corso. Lo stesso Vandelli ha chiarito, nella presentazione del piano industriale, che 270 licenziamenti sono già stati concordati con le organizzazioni dei lavoratori. Sui restanti 311, fuori dagli scivoli aziendali, la partita è invece aperta.
Tuttavia, oltre la chiusura delle filiali, nell’Isola si pone un terzo problema. La Banca di Sassari si prepara a scomparire, per essere totalmente assorbita dal Banco di Sardegna che già la controlla al 79,72 per cento. E questo sembra essere solo il primo atto di un altro passaggio ben più pensante, ovvero la cancellazione dello stesso Banco adesso che la Bper si appresta a diventare spa, come imposto dal Governo.
Il Banco di Sardegna è passato sotto l’ala della Bper nel 2001, diventando una sub-holding. Una soluzione, questa, che permetteva all’istituto isolano di mantenere la propria identità di “patrimonio regionale”, conservando peraltro l’autonomia giuridica. Ma la filosofia è destinata a finire in soffitta anche per via di un altro elemento che si sta aggiungendo in queste ore: è probabile fusione tra l’istituto emiliano, la Banca popolare di Milano e la Carige, stando alla stampa nazionale.
Non solo: a leggere in filigrana quanto sta succedendo al credito sardo, si può dire che la madre di tutti i tagli affonda le radici negli anni Novanta, quando il Banco trasformò in agenzie le vecchie Casse comunali del credito agrario.
Oggi la Bper – estesa dalla Calabria al Veneto attraverso l’acquisizione di banche popolari e casse di risparmio – controlla il Banco al 51 per cento. L’operazione venne avviata nel 2000 sull’onda della legge Amato-Ciampi che portò a compimento la privatizzazione degli istituti di credito. Dalla Fondazione Banco di Sardegna, ex socio di maggioranza nel Banco, gli emiliani acquisirono prima il 20 per cento del capitale ordinario, poi il salto al 31 e infine il controllo dei 51 per cento dei voti esercitabili nell’assemblea ordinaria. Adesso la doccia freddissima delle filiali che chiudono, lì dove sbaraccano anche gli uffici postali.
Alessandra Carta
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