A cosa possono servire le cinture di sicurezza se non a garantire la sicurezza in auto? A Cagliari c’è qualcuno che ha pensato a un uso diverso: è nata così Tirù Officina, laboratorio dove le cinghie prendono nuova forma e diventano altro. Borse e accessori soprattutto, ma non solo.
“L’idea è nata per una concomitanza di fattori – ci racconta Tiziana Serra, titolare dell’Officina – Negli anni scorsi realizzavo già per diletto borse e accessori. Ho sempre avuto una certa sensibilità per il recupero e l’utilizzo di materiali inutilizzati. Adoro dare nuova vita alle cose e rivederle sotto altra forma che reinterpreti il punto di partenza, talvolta trasformandolo completamente. Due anni fa, avendo a disposizione un po’ di materiale e apprezzandone molto l’estetica e la resistenza, ho provato a studiare un prototipo e a realizzarlo, cercando man mano le soluzioni ai problemi che mi trovavo di fronte. Ho azionato il piedino della macchina da cucire ed è nata così dopo un bel po’ di lavoro, la prima collezione, ‘100 Km/h'”.
E così ha preso forma la linea di borse, accessori, gioielli, tracolle per chitarre fatti con vecchie cinture di sicurezza. “I materiali provengono da autovetture rottamate. Capita anche che qualcuno mi porti le cinture della propria macchina quando decide di cambiarla. Non tutte le parti delle mie creazioni sono di riciclo, ovviamente: minuteria, cerniere, stoffe particolari sono cose che acquisto personalmente. Uso anche alcune stoffe di tappezzeria, campionari o piccoli lacerti e mi sono capitate anche stoffe ‘di famiglia’, affidatemi perché non venissero perse. Non c’è mai, insomma, una regola precisa nella produzione, per quanto ovviamente ricerco una certa riproducibilità ed una coerenza nella linea”.
Chiediamo a Tiziana se, oltre a un oggetto, i suoi acquirenti cercano anche il valore in più, quello del riuso e dell’ecologia: “Le persone sono molto curiose e, quando capita che non abbiano mai visto un articolo simile, mi fanno sempre un sacco di domande. Nei mercati dedicati all’artigianato tendo a spiegare il lavoro che c’è dietro, perciò credo di poterti dire che, oltre l’estetica e la funzionalità ovviamente, sì, le persone apprezzano il fatto che possono usufruire di un articolo che ha avuto una vita e che ora ne ha un’altra. Credo inoltre che stia crescendo sempre di più la sensibilità verso articoli che hanno una storia e una dimensione più umana, oggetti in cui la personalizzazione è importante, molto diversi da quelli propri della produzione di massa e seriale. Credo sia un fenomeno generale, non circoscritto soltanto all’artigianato”.
Francesca Mulas
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