di Alessandra Piredda
‘Frarià’ è il nuovo cortometraggio del regista Alberto Diana (Iglesias, 1989) ed è ora disponibile su Rai Play. Presentato un anno fa al 41esimo Torino Film Festival, il corto descrive la Sardegna di un paesino degli anni ’20. È una storia recitata in lingua sarda (già dal titolo rimanda al concetto di fratellanza) che racconta la vicenda di un ragazzo timido, bullizzato (Angelo) e costretto a fare i conti con nuove consapevolezze. Deriso per la disabilità di suo fratello maggiore (Agostino), imparerà a opporsi esercitando la propria assertività con dei sonori ‘no’ verso i suoi detrattori.
Frarìa è il suo primo lavoro di finzione. Come nasce?
Nasce dal mio passato, dai racconti d’infanzia di mio nonno, dai quali sono sempre rimasto affascinato. Suo fratello maggiore aveva una disabilità. Ho deciso di raccontare la loro storia romanzandola un poco. È un racconto di formazione quello di Frarìa, in cui il protagonista imparerà ad opporsi con ferma volontà. Penso che la crescita di un individuo passi più dai ‘no’ che dai ‘sì’.
Il film è completamente in sardo. Non c’è forse il pericolo di allontanare gli spettatori che non comprendono la lingua?
Non mi sono posto questo problema. Anche se ho iniziato a scrivere in italiano. Poi ho pensato che invece fosse essenziale l’uso di questa lingua, che plasticamente descrive la società. La lingua è l’anello fondamentale per la caratterizzazione dei personaggi, esprime un modo di pensare. E ad un certo punto proprio la lingua rivelerà le relazioni di potere.
L’epoca in cui è ambientato il corto è quella fascista. Come mai la scelta di girarlo nel sud Sardegna?
Ho girato il film tra Tratalias e Perdaxius, per rendere più agile il lavoro con le riprese, anche se mio nonno era di Piscinas, mentre io sono nato e cresciuto ad Iglesias. Ho scelto di lavorare in quei territori per rendere più agile il lavoro con le riprese. E anche per restituire un pò di verità storica al racconto: i piccoli centri nei primi anni del fascismo hanno vissuto in maniera differente l’avvento del regime, anche se lo stesso Mussolini sembrava essersi impegnato nel tentativo di affermare il carattere prettamente rurale dello stesso.
Ha iniziato il suo percorso artistico legato alla scrittura. I suoi documentari (come Fango Rosso, 2019) sono stati presentati in numerosi festival nazionali e internazionali. Si aspettava così tanto successo da un lavoro nuovo e impegnativo come quello con gli attori?
Ho avuto nel tempo diversi riconoscimenti e posso dire che il successo non è mai scontato. È un processo di crescita che devo anche ai protagonisti di questo mio ultimo lavoro: hanno dato prova di grande abilità perchè per la prima volta si sono misurati con un mestiere che non conoscevano (non sono dei professionisti). Un grazie va anche a loro, per avermi aiutato a costruire un mondo, un’atmosfera. Mi piace pensare che il potere dei film sia anche questo: descrivere una storia, pensando anche a ciò che c’è intorno.
Progetti per il futuro?
Sto lavorando a un lungometraggio legato a Frarìa che ha per titolo ‘Intra montes’. I tempi per questo lavoro saranno decisamente più lunghi rispetto a quelli richiesti per il corto che mi ha tenuto occupato per sei mesi tra scrittura e montaggio.