Quarant’anni di Legarsi alla montagna: Tonino Casula ricorda la sua Maria Lai

di Andrea Tramonte

Tutta la comunità del paese era impegnata a legare una stoffa azzurra di 27 chilometri tra le finestre delle case e poi fino alla vetta della montagna. Per Maria Lai voleva essere un gesto di fratellanza, un modo per superare le inimicizie presenti a Ulassai e rinnovare il legame con il “tacco” roccioso che domina il paese. Secondo l’antica leggenda di Sa rutta de is’antigus il monte aveva causato la morte di tre bambine durante una frana nel lontano 1861, ma una bimba che aveva in mano un nastro azzurro riuscì miracolosamente a salvarsi. L’artista ogliastrina è partita da qui, da questa storia di morte, di salvezza e di speranza, per ideare Legarsi alla montagna, considerato una delle vette della ricerca artistica della jana.

Sono passati quarant’anni da quell’opera che non è sbagliato definire “seminale”. A posteriori la critica l’ha identificata come la prima forma di arte relazionale a livello internazionale, ovvero un evento artistico che vede il coinvolgimento del pubblico nella costruzione dell’opera. L’8 settembre del 1981 gli abitanti del paese vennero mobilitati per srolotare il nastro, legarlo alle finestre e alle porte delle case e provare così a superare gli antichi rancori che ancora li dividevano. “La gente partecipava con gioia – racconta oggi a Sardinia Post Tonino Casula, novantenne, uno dei veterani dell’arte contemporanea in Sardegna -. Era convinta che fosse importante essere presa in considerazione. Secondo Maria il clima culturale del paese era di incapacità a vivere insieme, a odiarsi per sciocchezze. Voleva mettere ordine in queste cose, collegare le diverse famiglie con un filo di pace, azzurro come il manto della Madonna. Pensava: se collego le varie finestre non puoi fare a meno di guardarmi e di capire che non ti voglio uccidere. Nell’operazione artistica è di importanza minima sapere cosa ci sia di vero dietro e probabilmente quella leggenda è una menzogna. Ma gli artisti ti danno l’opportunità di mettere in moto la parte migliore di te, la tua mente”.

Casula è stato testimone diretto di quella giornata straordinaria e ha ripreso tutto con la sua videocamera, producendo l’unico documento video esistente dell’evento (questo il link). Le immagini sono bellissime: ci sono gli sguardi degli abitanti, l’impegno di donne, uomini e bambini che tutti insieme lavorano per srotolare il nastro e legarlo alle case, ci sono volti e le parole delle donne anziane vestite di nero che raccontano la leggenda del paese. “Nel video si vedono cose che io stesso sul momento non riuscivo a cogliere – racconta Casula -. Tutto ciò che avveniva era talmente alla luce del sole che non c’era bisogno di prendere appunti, fare un casting, scrivere uno storyboard. Era tutto lì: ti guardavi intorno, prendevi la cinepresa e facevi le riprese. Avevi una visione esatta di quello che avveniva. Quello che si affacciava alla finestra, quello che legava il nastro… Era un set perfettamente organizzato da un grande regista che non ero io: la popolazione sapeva benissimo come muoversi. E ci sono gli sguardi: c’è un bambino che tiene in mano il nastro e ha il volto smarrito, non sa cosa fare. È pieno di espressione”.

All’epoca Maria Lai e Tonino Casula si frequentavano parecchio. Erano amici e per Casula è stato del tutto naturale correre a Ulassai per documentare l’evento. In quel periodo secondo l’artista barbaricino anche Maria Lai ha respirato il clima culturale nel quale lui era immerso da diversi anni. La comune frequentazione dell’Arte Duchamp a Cagliari consentiva di condividere pensieri e dibattiti sull’arte, influenzandosi a vicenda. “Vivevamo un periodo importante sul piano linguistico e discutevamo di un diverso utilizzo dei materiali – ricorda Casula -. Tutto ciò che avevamo sulle spalle riguardo l’arte ci condizionava fortemente nei confronti dei linguaggi che avremmo dovuto inventare per adagiarli al tempo in cui vivevamo. Bisognava liberarsi dei linguaggi del passato e cambiare materiali. Se disegni un disco arancione con la tempera quello è un sole. Se quel disco lo realizzi con le vernici delle automobili, ti rimanda alla fiat. Io ho eliminato le tele, i colori a olio e ho iniziato a usare la pistola dei carrozzieri o il plexiglass. Maria, che stupida non era e anzi: eccezionalmente intelligente, ha capito che il modo più vicino a lei per affrontare questo discorso era usare stoffa, filo, pane, materiali legati al femminile e alla storia del suo paese”.

In questi giorni nel paese ogliastrino si celebrano i quarant’anni di Legarsi alla montagna con una mostra, “Tra terra e cielo” a cura del direttore della Stazione dell’arte, Davide Mariani, allestita nel nuovo museo aperto in questi giorni, il Camuc (leggi l’articolo). All’opera sono dedicate una serie di foto esposte nelle strade del centro storico e la proiezione del servizio che il giornalista Romano Cannas – ex direttore della Rai in Sardegna – dedicò all’evento, con immagini tratte proprio dal video di Casula. “Il mio video però non era piaciuto in paese – ricorda oggi Casula -. In particolare al presidente dell’associazione che aveva organizzato l’evento. Tanto è vero che in televisione andò il servizio di Cannas perché il mio era ritenuto poco adatto. Lui ha fatto un remake molto bello, citando le fonti, con una visione filmata probabilmente più adatta alla tv”. Di Maria Lai Casula ricorda tante cose con grande affetto. “Le conversazioni, i viaggi che facevamo insieme, le cose che ci raccontavamo di continuo, le sue visioni da “strega” – che prevedeva, sentiva -. Una persona che ho amato: mi piaceva la sua energia, l’ho vista lavorare con muratori che a un certo punto erano sfiancati mentre lei continuava a saltare come un grillo. Mi ricordo anche le affermazioni che non condividevo”. Eppure alla fine Maria Lai sull’evento di Legarsi alla montagna ha avuto ragione. “Una volta che butti il seme e il terreno è fertile cresce da solo e lei ha seminato in un buon periodo – conclude Casula -. Ricordo che alla fine di quella giornata c’è stata la festa, abbiamo ballato e mangiato e bevuto e ci siamo ubriacati. Anche questo ha confermato l’obiettivo di Maria: il paese alla fine si è amato”.

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