Un nuovo museo nel cuore di Ulassai. L’edificio rivive nel nome di Maria Lai

di Andrea Tramonte

L’edificio è imponente e domina il paese di Ulassai, volgendo il suo sguardo alle rocce dei tacchi che incorniciano il borgo ogliastrino. È situato nel centro storico e ha due ingressi: uno, in particolare, è nella via dei Libretti murati realizzati da Maria Lai, opere di terracotta disseminate nei muri a rimandare al profondo legame dell’artista coi luoghi in cui è nata e dove ha vissuto per tanti anni. Qui sorge un nuovo museo dedicato alla jana, uno spazio espositivo che si compone di una serie di edifici che comprendono un insieme di piccole strutture disposte intorno al cortile interno. Si chiama Camuc, Casa museo Cannas, ed è stato inaugurato di recente in occasione della nuova mostra dedicata all’artista ogliastrina e pensata proprio per quegli spazi, in occasione dei quarant’anni della sua opera più celebre: Legarsi alla montagna.

L’edificio è stato costruito ai primi del Novecento ed era di proprietà di un imprenditore facoltoso, Massimo Cannas. All’interno erano collocati un frantoio, un mulino elettrico per cereali e un impianto a carbone per la produzione di energia elettrica, che consentì al paese – primo della zona – di avere l’illuminazione pubblica e privata. Gli spazi sono stati rilevati negli anni Novanta dal Comune che ha coinvolto uno studio di architettura romano, LaiBe, con l’obiettivo di riqualificarli seguendo due direttrici principali: inserire elementi contemporanei ma facendo attenzione a valorizzare ciò che la struttura aveva già al suo interno (un caminetto, il forno, le mattonelle riutilizzate per evidenziare gli elementi storici dell’edificio collocandole all’interno del percorso museale). Il risultato è un centro culturale polivalente che ospiterà mostre, convegni, workshop, laboratori e proiezioni.

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La prima mostra è naturalmente dedicata a Maria Lai e si intitola “Di terra e di cielo“. “Due concetti fondamentali per l’artista – spiega Davide Mariani, direttore della Stazione dell’arte e curatore dell’esposizione in programma fino al 24 ottobre -: la terra ricorda l’attaccamento alla sua origine, il suo universo creativo, i riferimenti al paesaggio, all’infanzia, ai ricordi e alla tessitura. E poi c’è il cielo, quell’ansia di infinito che è presente in molte delle sue opere”. Il progetto si articola in due percorsi espositivi: uno all’interno degli spazi del Camuc e l’altro tra le vie del centro storico, per connotare sempre di più Ulassai come un “museo a cielo aperto”, spiega Mariani. Nel museo si possono ammirare oltre cento tra opere autografe, foto, video, bozzetti e nuove acquisizioni, con un filo sottile che lega la mostra all’anniversario della performance di arte relazionale di quarant’anni fa. “Maria Lai non parlava di opere d’arte ma di tentativi – racconta Mariani – e vedeva Legarsi alla montagna come un tentativo riuscito, il suo più importante. Così ha continuato a riflettere anche negli anni Duemila su quella esperienza. Ad esempio con La frana del 2002, che riproduce alcuni sassi – in ceramica o veri – che simulano la frana appunto, l’elemento scatenante che ha innescato l’opera relazionale. Per Tra terra e cielo del 2006 invece utilizza la tela di jeans celeste che è la stoffa usata per legare le case alla montagna”.


L’analisi dell’opera di Maria Lai arriva fino alla sua sfera più intima, con un allestimento realizzato per ricreare la sua stanzetta-atelier-laboratorio con elementi di arredo che ricordano la sua dimora. “Abbiamo utilizzato la sua macchina da cucire, donataci da una sua nipote, i libri che l’hanno formata, e gli elementi architettonici che ricordano lo studio dove ha lavorato per oltre trent’anni – spiega Mariani -. In questo modo i visitatori possono cogliere l’attitudine dell’artista, che non scindeva mai tra arte e vita. Troveranno oggetti che le sono appartenuti, anche un vestitino da carnevale cucito per una nipote”. A questo proposito è importante sottolineare come diversi parenti dell’artista abbiano deciso di donare delle opere al museo e al Comune, specie a seguito della diatriba giudiziaria tra la Fondazione Stazione dell’arte e l’erede universale di Maria Lai, la nipote Maria Sofia Pisu. “La maggior parte della famiglia ha scelto di sostenerci – dice Mariani -: se l’artista ha deciso di creare un museo lo ha fatto perché potesse contribuire a divulgare la sua arte e la sua visione dell’arte. Diversi nipoti si sono privati di opere importantissime e le hanno donate alla Fondazione. Gliene siamo grati”.

Tra le vie del centro storico si possono ammirare invece oltre cinquanta fotografie, molte delle quali inedite, che raccontano l’opera di 40 anni fa – quella in assoluto più emblematica per cogliere il rapporto tra l’artista e la sua comunità. Fino a questo momento quelle più note al grande pubblico sono state quelle scattate da Piero Berengo Gardin. In seguito a un lavoro di studio e ricerca condotto negli ultimi due anni dalla Fondazione, sono emerse ulteriori tracce capaci di svelare alcuni retroscena dell’azione partecipata. Tra queste, le immagini realizzate da Virgilio Lai durante l’evento che, unitamente a quelle di Gardin, sono per la prima volta esposte en plein air per le vie del paese, arricchendo l’itinerario del Museo a cielo aperto “Maria Lai”, recentemente dichiarato sito di interesse culturale dal ministero dei Beni culturali.

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