Esce il film dedicato a Enrico Berlinguer, Elio Germano: “La sua era un’epoca di sogni collettivi, oggi ognuno pensa a sé ed è più infelice”


di Andrea Tramonte

La sigaretta tra le dita, lo sguardo serio, assorto che ogni tanto si scioglie in un sorriso timido da cui affiora anche un velo di malinconia. La postura leggermente ingobbita e l’atteggiamento mite, di chi spesso sembra quasi chiedere il permesso o scusarsi: eppure netto quando è necessario, risoluto sul piano politico e determinato nelle scelte difficili da portare avanti in un contesto nazionale e internazionale estremamente complesso. Il Berlinguer interpretato da Elio Germano è straordinariamente efficace e lo è non solo nella sua fisicità, nella gestualità delle mani, nei movimenti degli occhi e del capo, ma anche nel linguaggio, nell’accento che riesce a rendere le origini sarde – e specificamente sassaresi – dell’uomo politico evitando qualsiasi tipo di forzatura.

Il film – Berlinguer, la grande ambizione – è diretto da Andrea Segre ed esce al cinema il 31 ottobre, con due anteprime nazionali in Sardegna: la prima ieri nella città natale di Enrico Berlinguer, Sassari (al Cinema Moderno), la seconda oggi a Cagliari al Cinema Odissea. Il film è prodotto da Vivo Film e Jolefilm con Rai Cinema, ha goduto anche del sostegno della Sardegna Film Commission ed è stato mostrato in anteprima all’inaugurazione della Festa del cinema di Roma. La colonna sonora è stata scritta, composta e suonata dal musicista sardo Iosonouncane, al secolo Jacopo Incani, con una gemma finale – che accompagna le immagini del funerale di Berlinguer – impreziosita dalla voce della cantante tempiese Daniela Pes.

L’opera racconta il segretario del Partito Comunista Italiano in un periodo storico molto preciso: dal golpe cileno in cui viene ucciso Salvador Allende e il sospetto incidente stradale a Sofia di cui Berlinguer fu vittima – siamo nell’ottobre del 1973 – alla vittoria del referendum sul divorzio ai primi tentativi di dialogo con la Dc: il film racconta della visione di Enrico, di quel gioco di equilibri in cui il Pci sentiva la necessità di rendersi ancora più autonomo dall’Urss e di incidere sulle politiche di Governo e Parlamento italiani attraverso l’unione delle masse popolari e antifasciste per costruire una via italiana al socialismo: difendendo, e anzi irrobustendo, la democrazia e assumendosi l’onere di condividere anche la responsabilità del governo (attraverso il cosiddetto compromesso storico). Una strada che viene interrotta – o quantomeno rallentata – dal brutale assassinio da parte delle Brigate Rosse del presidente della Dc, Aldo Moro.

Un film che inevitabilmente parla all’oggi, anche se il confronto tra la statura politica e intellettuale di personaggi del passato rispetto ai nostri tempi può essere estremamente impietoso. “Ho sentito in alcune parole di Berlinguer che abbiamo scelto per il film delle domande aperte sull’oggi – conferma il regista -. Le grandi questioni aperte ancora oggi come quella delle diseguaglianze, da superare col sogno, l’ambizione di creare il socialismo nella democrazia, in cui si potessero esprimere tutte le libertà, tranne quella di sfruttare gli altri uomini. Sappiamo che oggi ci sono ancora più diseguaglianze, ma sembra che ci accontentiamo e tiriamo a campare dentro questa condizione”.

Berlinguer insiste sull’idea di rafforzare la democrazia contro spinte contrarie e reazionarie e questa necessità sembra pressante anche oggi – forse a maggior ragione oggi – tra il condizionamento delle cosiddette autocrazie nelle opinioni pubbliche democratiche e le spinte verso quell’ossimoro che è rappresentato dalle “democrazie illiberali”: difendere la democrazia significa riuscire a tenere insieme la società includendo anche chi oggi è economicamente ai margini, sempre più ai margini. E difenderne le istituzioni da chi cerca di indebolirle per arrivare a una sorta di “democrazia” del capo in cui i bilanciamenti vengono affievoliti, i contropoteri assoggettati.

“Le persone in quel periodo storico – dice Germano -, cittadini prima ancora di militanti, ragionavano ancora in termini di collettività, di bene comune. Provavano a risolvere i problemi con la stessa collegialità: la forza era il lavoro collettivo e gli individui si mettevano a disposizione degli altri a partire dalle proprie competenze. Questo era un motore di maggiore felicità e benessere: sentivi che servivi, eri utile per qualcun altro. Ora si dice: tieniti tutto per te, cerca di vincere da solo, sfrutta la collettività per il tuo bene personale. Quella realtà invece non era fatta di persone tristi, ma che si realizzavano in una dimensione di speranza, felicità, fantasia, nella voglia di un mondo migliore, che è stata frustrata dal mondo contemporaneo in cui tutto è improntato all’individualismo più sfrenato“.

Il regista ha cercato di approfondire, specie nel lavoro di preparazione del film, anche la sardità di Berlinguer, il suo rapporto con Sassari, il suo amore per Stintino, l’Isola Piana, la passione per la barca a vela. “Abbiamo cercato di capire il rapporto con le sue origini e come un pezzo di cultura sarda abbia formato la sua persona e il suo modo di interagire col mondo – spiega -. Nella consapevolezza che Sardegna, nel suo caso, non significa solo lui e la sua famiglia, ma anche Gramsci, Togliatti e altre figure della società e della politica italiana che vengono da quella zona. Abbiamo trascorso tempo in città con persone che lo avevano conosciuto, parenti e anche con persone che pur non avendo mai avuto a che fare con lui potevano farci capire alcuni elementi. Le vie di Sassari, i quartieri popolari, ci hanno aiutato a entrare in una biografia. Che è culturale e collettiva”.

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