Cultura e piccoli centri, il modello Gavoi. Marcello Fois: “Coi libri portiamo nel borgo 25mila persone in tre giorni”

Andrea Tramonte

Due anni di assenza a causa della pandemia, poi quest’anno il sindaco di Gavoi ha chiamato Marcello Fois e gli ha detto: “Bisogna fare assolutamente il festival”. Perché ormai l’Isola delle storie è una istituzione del paese, qualcosa che fa parte della storia del borgo. “È entrato a far parte delle sue tradizioni, come il carnevale, come i tumbarinos”, spiega lo scrittore nuorese. Nell’indagine di Sardinia Post sui festival e sul modo in cui possono trasformare i piccoli centri – dal punto di vista economico e ancor di più sul piano sociale e culturale – l’Isola delle storie è sicuramente uno dei casi di studio più importanti. Quest’anno ha raggiunto la diciottesima edizione, con un parterre di ospiti di primo piano e un’affluenza di circa 25mila persone in tre giorni. Un risultato che ora si dà per scontato ma che all’inizio non lo era affatto.

“Il progetto iniziale era quello di sviluppare il festival in un borgo che fosse fuori dalla via del turismo, lontano dalle spiagge – spiega Fois -. Che fosse un paese con una personalità e contemporaneamente non balneare. Spostare le persone dalla costa all’interno. Una manifestazione dove chiedevi alle persone di venire da te, con un doppio impegno e un doppio rischio. Si fanno tanti discorsi sullo spopolamento ma poi non si lavora abbastanza per contrastare il fenomeno”. Gavoi era parte della rosa dei paesi valutata dagli organizzatori, insieme ad Aggius e Santu Lussurgiu. Fu il sindaco di allora, Salvatore Buttu, a deviare il corso degli eventi. “È stato il più entusiasta. Ci disse: facciamolo subito. Il Comune avrebbe messo a disposizione quello che sarebbe potuto servire per sviluppare il progetto. Abbiamo trovato Gavoi così, o meglio: Gavoi ha trovato noi. Anche perché non siamo arrivati in un posto depresso e non civilizzato. Tutt’altro”. Insieme a Fois allora c’erano anche Giulio Angioni, Giorgio Todde, Flavio Soriga, le ragazze di Tuttestorie. “La prima edizione l’abbiamo fatta con pochi soldi ma con un’idea che è stata vincente – ricorda lo scrittore -. Abbiamo cercato di fare una cosa diversa: incontri dalle 10 alle 10 con autori scelti da noi senza nessun diktat dalle case editrici, incontri mai in contemporanea come nel caso di altri festival in cui metti insieme un sacco di gente, magari autori televisivi e altri di nicchia e questi ultimi non va ad ascoltarli nessuno. E poi volevamo fare del festival un repertorio della scrittura in Sardegna. Un evento internazionale ma con una quota di sardi che ci siamo imposti in maniera sistematica. Sono passati tutti gli scrittori sardi viventi, anche quelli che sono venuti a mancare. Ora c’è una nuova generazione che va invitata e ci sarà nelle prossime edizioni”. 

Il terreno del paese barbaricino era fertile per sviluppare un discorso culturale di alto livello. Negli anni Ottanta si svolse il raduno di Plexus, un movimento di performer, scienziati e artisti di vario genere nato a New York agli inizi degli anni Ottanta per iniziativa di Sandro Bernini ma con ramificazioni in tutto il mondo, e anche nell’Isola grazie all’impegno – tra gli altri – di Gaetano Brundu e Luigi Mazzarelli. Nel borgo arrivarono 160 artisti di 23 nazioni diverse e rimasero in Barbagia per quattro giorni, lavorando a Sa Itria – ispirati dalle impressionanti testimonianze megalitiche e nuragiche del luogo – e portando arte e performance nelle strade. L’impatto fu notevole, con performance anche “scandalose” per l’epoca che iniziarono a scuotere le coscienze delle persone. Nei primi anni Novanta si sviluppò una scena importante anche a livello rock, con la nascita di un club che attirava persone da tutta l’Isola – il Covo dei nottambuli – e un festival di tre giorni, Isola Rock, che portava band di livello internazionale. Non bisogna dimenticare tra l’altro che a Gavoi, grazie ai ragazzi di Isola Rock, hanno suonato anche i Fugazi, ovvero una delle più importanti band di rock indipendente di sempre. Alcuni degli ex ragazzi del Covo fanno parte ora dello staff dell’Isola delle storie. C’è una continuità, insomma, e il festival ha dato un impulso decisivo nel dare una svolta al borgo in chiave culturale.  

“È evidente che si è aperta una strada, un punto di vista – dice Fois -. Ora quel tipo di cose a Gavoi funzionano, non stai urlando nel deserto”. Il festival è ormai parte dell’identità del paese. “Ci sono generazioni non hanno mai conosciuto Gavoi senza l’Isola delle storie. Ora è una situazione locale come il Redentore a Nuoro o Sant’Efisio a Cagliari. Questi ragazzi che oggi hanno 19 anni il festival lo hanno sempre conosciuto e hanno anche dovuto fare i conti con l’assenza dovuta alla pandemia. L’Isola delle storie ha aiutato i gavoesi a costruire una identità multipla nel presente”. E fare un festival in un paese dell’interno non è affatto una cosa semplice. “Vorrei far notare al nostro assessore regionale al Turismo che in tre giorni, all’interno della Sardegna in piena stagione balneare, sono arrivate 25mila persone. Non mi sembra un risultato negativo. E senza launeddas, che pure adoro”. Il discorso sui fondi è inevitabile, specie alla luce delle scelte di indirizzare i finanziamenti regionali per la cultura in chiave turistica soprattutto alle manifestazioni folcloristiche penalizzando fortemente festival di cultura contemporanea. “Si sente odore di elezioni – attacca Fois – e quindi il Turismo si è posizionato immediatamente sulle fasce delle clientele: i gruppi folk, le sagre paesane, che pensano possano garantirgli voti. E Chessa ha tolto soldi a esperienze come quelle di Berchidda e Gavoi che viaggiano in un altro sistema. Altra notizia per il nostro assessore, grazie al festival Gavoi ha preso la bandiera arancione del Touring club. Esiste una cultura che non è così respingente come lui pensa. C’è una Sardegna che ha un senso a prescindere dal costume e dai balli”. 

Il festival costa 200mila euro. “Il bilancio è pubblico e si può vedere come spendiamo i soldi. Non c’è una voce direttore artistico perché di fatto il lavoro viene fatto collegialmente da un gruppo direttivo. Io ci metto la faccia, ma le decisioni le prendiamo insieme.  I soldi li spendiamo solo per i contenuti del festival e per pagare due segretarie stagionalmente”. L’investimento paga, se consideriamo che le 25mila persone che partecipano al festival lasciano denaro nel territorio. L’Isola delle storie usa solo maestranze e servizi locali e ha coinvolto anche la nuova libreria – dopo alcuni anni in cui nel paese non ce n’era più una – per farla lavorare al festival. “La nostra idea è che questo patrimonio debba restare nel territorio. E oltre al ritorno economico immediato, bisogna dire che Gavoi è molto migliorata nei 17 anni del festival. Un borgo straordinario, con un piano urbanistico e un piano del colore molto avanzato. È cambiato geneticamente. E questo credo lo si debba anche al fatto che è diventato la sede di un posto di elaborazione culturale così importante”. 

Andrea Tramonte

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