Time in Jazz arriva alla 35esima edizione. Paolo Fresu: “Così Berchidda è diventato laboratorio culturale”

Andrea Tramonte

Un pastore qualche anno fa ha raccontato di far ascoltare il jazz alle mucche perché così sono in grado di produrre più latte. È un aneddoto perfetto per descrivere il modo in cui la musica è riuscita a trasformare Berchidda in profondità: da un’economia prettamente agropastorale all’economia della cultura, da un’identità di lunga data basata su attività tradizionali come la produzione del formaggio a una più dinamica, in grado di inglobare al suo interno elementi nuovi, spiazzanti. Il Time in Jazz quest’anno spegne 35 candeline ed è in programma dal 7 al 16 agosto. Un periodo di tempo sufficientemente lungo per provare a ragionare sul modo in cui la manifestazione sia riuscita a trasformare il paese e a connetterlo col il mondo. Perché questo fa la cultura, specie nei piccoli centri: produce reddito ma soprattutto veicola valori e contenuti immateriali in grado di modificare una comunità, cambiare la propria autopercezione e le coscienze di chi vi abita. “Berchidda nel 1988 era un luogo molto diverso – racconta a Sardinia Post Paolo Fresu, jazzista di fama mondiale, fondatore e direttore artistico del festival -. Era un centro che non aveva una precisa coscienza del suo territorio. Un paese collinare sotto il Limbara, lontano dal mare: ancora oggi il pesce arriva solo il venerdì. C’era un turismo legato principalmente alla comunità, con i picnic organizzati al lago di Coghinas. Il festival è riuscito a cambiare il rapporto col territorio, con le sue eccellenze paesaggistiche e naturalistiche. I berchiddesi hanno iniziato a porsi il problema di come utilizzare il territorio al meglio. Sono stati fatti passi avanti enormi, anche se c’è ancora lavoro da fare”. 

È importante raccontare il modo in cui la cultura – e nello specifico i festival – sia in grado di valorizzare piccoli centri e innestare nelle comunità nuove idee. Un modello di sviluppo e di crescita culturale che andrebbe incentivato e di cui si dovrebbe avere coscienza a livello politico. Eppure è di pochi giorni fa la polemica che ha visto l’assessore regionale al Turismo, Gianni Chessa, contrapporsi proprio a Fresu con la frase “la cultura sarda è launeddas e canto a tenore e non jazz e tromba”. “Il festival porta un indotto economico ma soprattutto fa circolare pensieri – racconta Fresu -. Quest’anno parliamo di temi ambientali, di diseguaglianze”. Uno studio di qualche anno fa ha dimostrato come per ogni euro speso tornano alla collettività sei euro, per un indotto da tre milioni. “La risposta a una politica un po’ cieca che si chiede perché il finanziamento pubblico debba andare al festival. Bisogna dire però che se il Time in Jazz ha un budget di 500mila euro il sessanta per cento circa arriva da fondi privati. Questo significa che il cittadino sta mettendo 60 centesimi per avere in cambio sei euro”. Ma ragionare solo sull’incidenza economica non rende pienamente merito al valore di un festival culturale e al modo in cui riesca a innescare processi virtuosi che investono ogni cosa. Di recente l’organizzazione ha acquistato un’ex casearia di 1.600 metri quadri dove è nato il centro del festival, con uffici e spazi per le mostre. All’esterno la corte del sughero è dedicata ai laboratori per l’infanzia. “L’ex cooperativa del latte, la Berchiddese, ospiterà invece uno studio di registrazione”, racconta Fresu. “Abbiamo vinto un bando sui centri di produzione e per tre anni il paese sarà il primo centro di produzione del jazz delle isole del Mediterraneo, producendo spettacoli tutto l’anno con musicisti importantissimi. Ci sarà un flusso di persone che vivranno a Berchidda e produrranno spettacoli che poi saranno portati in giro per tutta l’Isola ma anche a livello internazionale”.

L’obiettivo insomma non è animare il centro solo nelle giornate del festival ma riuscire a farlo tutto l’anno, lasciando sedimentare saperi, fermenti e progetti in grado di attivare nuovi percorsi. Che poi possono dare ulteriori frutti. “Diverse persone che lavorano al festival si sono formate in seno alla manifestazione. Magari hanno iniziato prima come volontari, poi hanno assunto un ruolo più importante e oggi lavorano stabilmente. Poi altre che entrano durante il calendario del festival, o berchiddesi o sardi in generale che hanno reso l’organizzazione culturale e la gestione della parte tecnica il loro lavoro. Per noi è molto importante. Il centro di produzione darà un ulteriore stimolo al territorio e abbiamo bisogno di persone sempre più competenti: aumentando le nostre attività ci servono persone preparate. Il festival diventa un luogo non solo di produzione culturale ma anche di occasione di sviluppo”. Il progetto Time in Jazz poi non si limita solo alla musica. C’è un’offerta culturale a tutto tondo che riguarda libri, cinema e arte. “Il festival è il volano attraverso cui si muovono tante cose, un unico viaggio da sviluppare tutto l’anno per rendere il paese un laboratorio di cultura che lascia tracce profonde”. Poi ci sono le trasformazioni sociali ed economiche. Negli anni molte case sono state ristrutturate per ospitare il pubblico del festival: 35mila persone devono trovare alloggio e un bando ha incentivato questo lavoro fondamentale. Sia in paese sia in campagna, con casette nelle vigne che poi sono diventati spazio di accoglienza. C’è anche il discorso legato al prodotto territoriale. Al Time in Jazz vengono utilizzati prodotti locali, come il Vermentino della cantina sociale Giogantinu. “Oggi a Berchidda sono nate altre cantine private, sono cinque o sei – racconta Fresu , che vengono veicolate anche grazie al festival. E poi dolci, distillati, olio, tutto della zona”. Diverse persone hanno comprato casa qui creando un piccolo ricambio in un momento in cui numerosi paesi dell’Isola vivono il grave problema dello spopolamento.

“Berchidda è sempre stato un paese agropastorale, purtroppo la situazione della pastorizia è andata un po’ così – racconta il jazzista -. Mio padre era socio di una cooperativa che poi è fallita. Da piccolo la domenica andavo ad aiutare per la mungitura. Ora c’è una produzione altra, non formaggio ma cultura, ma sempre importante sul profilo sociale ed economico. Ci sono quelli che non lo capiscono, quelli a cui non interessa, ma non mettono in dubbio che sia importante. E ormai il jazz è parte importante della vita dei berchiddesi”.

Andrea Tramonte

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