Cala Gonone, le molte vetrine del jazz. Da Luft a Harris, la musica è meraviglia

La seconda giornata del Cala Gonone jazz festival comincia al molo del piccolo e incantevole borgo marittimo. Trepidanti per l’attesa, in barba al sole cocente, gli spettatori si sono riversati in lunghe file verso le barche.
La meta, le grotte del Bue Marino, il palcoscenico dei concerti mattutini della manifestazione jazzistica. Da sei anni l’associazione ‘Intermezzo Nuoro’ ha scelto questa location come auditorium per concerti a basso impatto ambientale, sempre più spesso acustici e con pochi elementi, capaci di adattarsi e immergersi in questo paesaggio magico che ogni volta suscita stupore e meraviglia.

Nel riverbero evanescente e trasognato delle grotte, illuminato naturalmente dai riflessi del mare sulle pareti calcaree, le note minori e gli arpeggi indie folk della chitarra di Rob Luft accompagnano, accarezzandola, la voce forte, ma dal timbro dolce di Elina Duni.

Brani originali, canzoni tradizionali e qualche cover fanno da ricco repertorio. Suoni e ritmi arabeggianti, come da tradizione balcaniche e soprattutto albanesi, dove la comunità musulmana presente da secoli ha permesso che i costumi culturali pervadessero ogni ambito artistico, arricchendolo. La cifra stilistica del duo sta proprio nel saper reinterpretare i componimenti popolari evocandoli come testimonianza di un tempo passato, applicando un filtro musicale e narrativo contemporaneo, tessendo una storia che – tramandata oralmente – diviene leggenda o fiaba.

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Lo spettacolo all’Acquario è stato invece animato dalla presenza dei Radioclave (Antonio Franca, voce campana; Valentina Casu, voce e maracas; Paolo Corda, chitarra; Sandro Zizi, fisarmonica; Marco Bande, tastiere; Sebastiano Pacifico, bongò; Jacopo Careddu, percussioni; Gavino Paddeu, basso). Nato su iniziativa di Antonio Franca, il gruppo – formatosi a Sassari – ha adottato i ritmi afrocaraibici, di samba e bossanova, mescolando intrattenimento e omaggi colti alla musica brasiliana.

La seconda giornata, ancora lunga e fitta di appuntamenti, si è poi spostata all’Arena Palmasera dove ad aprire la serata, di fronte ad una folta schiera di spettatori, si è esibito il busker Andrea Cubeddu, già ospite della prima giornata, ricevendo anche stavolta grandi applausi e approvazione. Piatto forte della serata, il crooner e chitarrista Allan Harris, in quartetto con Kerem Gorsev al piano, Ferit Odman alla batteria e Kagan Yildiz al basso.

Felice di trovarsi nuovamente in Sardegna (la prima volta, ci racconta, è stata in un altro festival sulla costa occidentale) Harris si è lasciato sedurre dalla passeggiata sul lungomare, dove il brusio dei locali si fa flebile di fronte allo sciabordare costante delle onde. Il suo non è uno spettacolo, è una vera e propria esperienza visiva e uditiva.
La voce graffiante e l’entusiasmo con cui interpreta brani come ‘Night and day’, ‘Monnalisa’ e una chicca per gli appassionati ‘Non dimenticar’ in omaggio al gigante dello swing jazz, Nat King Cole, hanno infiammato il pubblico che per tutto il tempo ha tenuto gli occhi fissi sul palco continuando a cantare e applaudire.

La serata si è poi conclusa con l’armonicista beatbox Moses Concas, ospite già dell’edizione 2016 e assiduo collaboratore dell’associazione Intermezzo. Il giovane artista non ha bisogno di presentazioni e quando sale sul palco, seppure ‘lontano’ in un certo senso, dal suo ambiente – la strada – si abbandona alla pura improvvisazione lasciandosi guidare da sentimenti e ispirazioni del momento. Come fosse in una qualunque via di Londra, sua città d’adozione da diversi anni, Simone ‘Moses’ Concas mantiene costante quell’informalità e tratto coinvolgente della street art che lo ha reso celebre e amatissimo anche tra i fruitori della cultura pop.

Martina Serusi

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