Bam, il design tra martello e fornace. L’artigianato a Nuoro è contemporaneo

Quella di Bam è una storia familiare che inizia sul finire dell’Ottocento e arriva fino ai giorni nostri. La storia di quattro generazioni di artigiani nel cuore della Barbagia: dal lavoro di un aggiustino, Ziu Nicola su accunzinu, che si ingegnava nel riparare gli oggetti che gli portavano i compaesani a Orani, fino a quello delle nuove leve, che hanno portato il tradizionale lavoro di famiglia sui metalli a parlare il linguaggio del design internazionale. Ogni generazione ha rappresentato un passo avanti rispetto a quella precedente: dalla bottega del nonno fabbro a Nuoro al lavoro sull’artigianato artistico del padre, fino ad arrivare agli anni 2000, quando i due eredi decidono di tornare in Sardegna, freschi di laurea, prendere la tradizione di famiglia e traghettarla ufficialmente nel nuovo millennio. Così nasce Bam, “bottega artigiana metalli”: il saper fare consolidato in oltre un secolo di tradizione incontra la progettualità del design e un gusto più fresco, contemporaneo. Il nome è onomatopeico e ricorda il cuore di questo lavoro, il suo rapporto con manualità, attrezzi e materia: “Bam” è il suono del martello quando va a colpire il ferro con forza. Del resto: “Bam è fatta da designer che si sporcano le mani e da artigiani che le mani le fanno pensare”.

Vittorio e Andrea Bruno sono due quarantenni nuoresi cresciuti nel laboratorio artigiano di famiglia. Hanno lasciato l’Isola da giovanissimi per frequentare l’università a Milano: il primo ha studiato all’Accademia di Brera, il secondo al Politecnico. “Abbiamo deciso di tornare in Sardegna un po’ inconsciamente”, racconta Andrea. “Ci vuole coraggio per partire, fare il salto: lasci quello che conosci e vai via. Tornare è anche più difficile perché sai già quello che trovi, sei consapevole delle difficoltà che dovrai affrontare. Ma l’elastico che abbiamo incorporato noi sardi prima o poi tira”. L’idea era quella di fare tesoro delle esperienze fatte altrove per creare qualcosa nell’Isola, cercando di coniugare la tradizione familiare con l’esigenza di proporre qualcosa di nuovo. “Abbiamo cercato di fare una sintesi tra quello che abbiamo visto fare fin da bambini da nostro padre e quello che avevamo appreso nel corso dell’università e delle nostre prime esperienze lavorative. Creando una collezione che richiamasse la nostra storia ma fosse in grado di parlare al mondo, senza limiti e confini”.

Tutto è iniziato alla fine dell’Ottocento col bisnonno Nicola Bruno, l’aggiustino, arrivato dalla Basilicata e diventato un punto di riferimento per la riparazione degli oggetti d’uso nei paesi del circondario – i primi clienti erano principalmente pastori -; a volte inventava oggetti nuovi, in base alle esigenze della quotidianità. Il nonno era ramaio – prima a Orani e poi a Nuoro – e lavorava soprattutto il pentolame, tutto ciò che era legato al fuoco. “Nostro padre Tonino invece è stato l’artefice di un altro passaggio, con lo sviluppo di una sensibilità artistica in grado di fare ricerca e migliorare il prodotto”. Il lavoro di Vittorio e Andrea rappresenta un ulteriore scatto in avanti. I due fratelli hanno iniziato a progettare oggetti in metallo in grado di raccontare la Sardegna attraverso forme, colori, storie e trasmetterle all’esterno, facendole dialogare col resto del mondo.

Il nuovo progetto nasce ufficialmente nel 2008, con due tappe fondamentali: la creazione di un nuovo marchio, la delocalizzazione dell’officina – che si sposta nella zona industriale – e la creazione di uno show-room nel cuore di Nuoro al posto del vecchio laboratorio. “Non è stata una operazione indolore – spiega Andrea – ma nostro padre non ci ha mai ostacolato, anzi: ci ha agevolati, e il confronto con lui è stato bellissimo. Ha scommesso su di noi dandoci la possibilità di studiare e quando siamo tornati ci ha dato la libertà di esprimerci. Ancora oggi c’è un confronto quotidiano con lui, che ha 72 anni. È il primo pronto ad aiutarci a risolvere i problemi”.

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Il primo oggetto prodotto – e di sicuro uno dei loro progetti più iconici – è il Boe, un animale sonante, sintesi tra campanaccio e animale frutto di una ricerca del suono del metallo e delle tradizioni agropastorali. “Ci siamo chiesti il perché dell’oggetto al collo dell’animale. Abbiamo parlato con i pastori che ci hanno spiegato che con quel suono costante, prodotto dal campanaccio, le bestie sono più serene: regola il loro equilibrio, oltre a consentire di sapere sempre dove si trovano. Un suono ancestrale, pieno di sfumature, timbri, applicato a un animale: l’unione delle due cose è sintetizzata nel gesto di aggiungere due corna al campanaccio. Il suono evoca in chi lo ascolta un mondo che è sardo. Ma non solo: quell’oggetto lo trovi anche in altri luoghi”.

Il fatto di essere cresciuti in bottega e aver imparato a usare le mani e a lavorare i materiali fin da ragazzi li rende dei designer atipici. “Il bello di essere designer e artigiani è che quello che disegni lo puoi realizzare subito. Il confronto con la materia poi è decisivo anche nell’immaginare i progetti. Siamo convinti che un designer debba riflettere con il martello in mano, conoscere il peso dell’incudine e il caldo torrido della fornace”. Conoscendo i materiali e il modo di lavorarli i due fratelli sono stati in grado anche di giocare con le finiture e i colori. “Il metallo risponde in modo diverso a seconda di come lo lavori: si colora, diventa lucido, opaco, graffiato, segnato. Abbiamo creato un campionario di finiture in base alle varie tecniche di lavorazione, con l’obiettivo di lasciare il metallo nudo e crudo, facendo emergere la sua anima. La fiamma colora con le sue sfumature, dal blu al viola. La mola graffia. Il colpo del martello segna. E tutti questi passaggi emergevano nell’esplosione di effetti cromatici naturali”. In particolare i due designer hanno lavorato sul concetto di difetto, di imperfezione. “Nostro padre ci ha detto: ho passato la vita a combattere la ruggine e invece voi ne avete fatto un elemento di pregio”, ride Andrea. “Il difetto è un processo di lavoro che crea una distorsione. Un errore è naturale: anziché nasconderlo, lo esaltiamo e diventa un dettaglio dei nostri progetti”.

Bam Design ha collaborato con Antonio Marras per la creazione di diverse culture ospitate nel suo atelier, alcune realizzate in collaborazione con lo stilista algherese direttamente nella bottega nuorese. Ogni anno poi partecipa attivamente al festival di Gavoi: i due fratelli curano gli allestimenti dei palchi dove si tengono gli incontri. Di recente hanno partecipato anche alla Biennale di Venezia con il progetto realizzato insieme a Davide Fancello, architetto di Dorgali. Si tratta della “Cabinedda”, una pensilina che incornicia e “fotografa” il paesaggio, pensata anche come luogo per sostare e riflettere. “Uno strumento di riflessione e di esaltazione della splendida vallata di Dorgali”, racconta Bruno. “Le sedute sono le nostre Linna in acciaio e legno di castagno intagliato”.

I due designer lavorano principalmente i metalli facendoli però dialogare con altri materiali autoctoni. Il sughero, ad esempio: “In Sardegna ci limitiamo a fare tappi ma si possono realizzare mille cose. Ci sono designer che a livello internazionale hanno puntato su quel materiale: il sughero è versatile, è naturale, e ci sarebbe tantissimo da fare”. I fratelli Bruno si sono guardati intorno cercando di capire che cosa offriva il territorio. “Abbiamo una storia da raccontare che viene dalla nostra terra. I materiali sono i colori dell’Isola. Abbiamo lavorato col marmo di Orosei, con tessitori di Samugheo e Nule, in modo da intrecciare materiali e botteghe, sviluppare collaborazioni e contaminazioni. Crescendo tutti insieme”. (Foto di Gianluca Vassallo, White Box Studio)

Andrea Tramonte

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