Con la deposizione dell’ex ad del Bologna Silvino Marras ha preso il via il processo a Sergio Porcedda, immobiliarista sardo che a luglio 2010 acquisì l’80% delle quote del club, portandolo ad un passo dal fallimento. Il Bologna fu salvato da una cordata di imprenditori coordinati dall’ex numero uno Unipol Giovanni Consorte, il 23 dicembre dello stesso anno. Porcedda, coinvolto in inchieste anche in Sardegna, è a giudizio per appropriazione indebita. La Procura di Bologna (in aula l’accusa è condotta dal procuratore aggiunto Valter Giovannini) gli contesta di essersi appropriato di 3 milioni dalle casse sociali, trasferiti con bonifico ad una società a lui riconducibile.
Marras ha ricostruito quella che ha definito la richiesta “anomala” di Porcedda, il 23 luglio 2010, quando gli disse di fare il bonifico, che poi lui firmò. “Insistette – ha raccontato Marras – dicendo che doveva trasferire quei soldi alla capogruppo perché c’erano degli sconfinamenti e che se non lo avesse fatto non avrebbe trovato le finanze” per il club. Porcedda rassicurò anche a Marras “che quei soldi sarebbero rientrati in 10 giorni. Ma così non è stato. E da lì è iniziato il mio incubo“. Nelle prossime udienze si sentiranno i testimoni della difesa (avv. Davide Tassinari), tra cui l’ex ad del Bologna, Renzo Menarini (che cedette la società a Porcedda) e Carmine Longo, che curò il mercato. La società, pur essendo persona offesa dell’appropriazione indebita, non è parte civile.
I tre milioni sarebbero poi rientrati nelle casse del Bologna il 23 dicembre, quando si perfezionò l’accordo per la vendita, ma sotto forma di quote di una società che gestiva un albergo in Sardegna. Il tutto fu deciso in quella che Marras ha definito “una riunione piuttosto concitata” a Treviso, presenti il futuro presidente Massimo Zanetti, membri della famiglia Menarini, Consorte, Porcedda e lo stesso ad.
I passaggi di denaro sono stati ricostruiti dal consulente della Procura, il commercialista Fabio Busuoli che ha definito “anti giuridico” il passaggio di denaro dal Bologna alla Asf, la società controllante, rilevando il conflitto di interessi di Porcedda. Il soldi furono poi trasferiti ad una seconda società riconducibile a Porcedda. Il consulente ha parlato di una “complessissima operazione societaria”, inoltre, per descrivere la restituzione della somma.
Il legale di Porcedda – l’imputato non era non presente in aula – ha parlato di una “errata qualificazione” giuridica dei fatti, dicendo che non è “ravvisabile un reato”, trattandosi “al massimo di una infedeltà patrimoniale”. Ha anche spiegato che il comportamento del suo assistito è stato orientato a “ottenere fidejussioni bancarie per svincolare rilevanti somme, 10 milioni di euro, per il calcio mercato”. Porcedda avrebbe fatto “un tentativo molto sentito di risollevare le sorti del Bologna Fc e portare in salvo la società. Il suo operato è stato ingiustamente disconosciuto”. L’ex presidente non è citato nella lista di testimoni, ma il suo legale si è riservato di farlo intervenire con dichiarazioni spontanee nella prossima udienza, a fine novembre, davanti al giudice Sandro Pecorella.