Strage di Tempio, la lettera-boomerang di Frigeri

La lettera di autodifesa di Angelo Frigeri, l’uomo accusato di aver sterminato a Tempio Pausania la famiglia Azzena, è diventata per gli inquirenti una conferma dell’ipotesi che le indagini scientifiche stanno consolidando: che l’innesco della strage di Tempio sia stato un omicidio preterintenzionale. O, più precisamente, la convenzione di Frigeri di averlo compiuto. L’ipotesi, infatti, è che Frigeri abbia ferito gravemente Giulia Sanzani nel corso di una lite, e successivamente abbia assassinato prima Giovanni Maria Azzena e poi il piccolo Pietro Azzena per eliminare due testimoni.

Nella lettera manoscritta su due fogli di un quaderno a quadretti e inviata tre giorni fa dal carcere alla redazione de la Nuova Sardegna Frigeri si mostra molto contrariato (le prime parole sono: “Ce la fate a scrivere meno cazzate?”) perché le cronache avrebbero inteso il suo “rimorso” come una confessione. In realtà, scrive, è che “mi dispiace per l’accaduto non perché sono stato io ma perché sono morte tre persone tra cui un bambino innocente che ha pagato per le colpe del padre”. Quindi nega di aver confessato e anche di essere stato al momento del fatto sotto l’effetto di sostanze stupefacenti. E conclude così: “La Golf da voi menzionata non era stata venduta e perciò restituitami senza nessun debito né da parte mia né da parte della Azzena” (le sottolineature in corsivo sono nostre, ndr)

Il contenuto della lettera ha sorpreso gli investigatori: Frigeri nega di aver confessato mentre invece lo ha fatto. Esiste un verbale – il verbale di un interrogatorio reso 48 ore dopo la strage – chiarissimo: “Non è stato il commerciante di Tempio – dice Frigeri – li ho ammazzati da solo. Giulia Zanzani è morta per prima, poi Giovanni Azzena e il ragazzino”.

Naturalmente un imputato può ritrattare una confessione. Prima dichiararsi colpevole e poi innocente. Ma nella lettera Frigeri non compie questa operazione. Sostiene – come se l’avesse dimenticato – di non aver mai detto di essere l’autore della strage. Cioè rende pubblica, con una lettera a un quotidiano, una tesi smentita dagli atti giudiziari. Perché lo fa?

L’ipotesi che la lettera faccia parte di un tentativo dell’indagato di mostrarsi in condizioni psichiche alterate, magari nella speranza di arrivare a un riconoscimento dell’infermità o della seminfermità mentale al momento del fatto, è stata naturalmente presa in considerazione. D’altra parte sarebbe, stando agli elementi di cui si dispone, l’unica via per sperare di evitare l’ergastolo in caso di condanna.

Ma la lettera – qualunque siano le motivazioni che hanno indotto Frigeri a scriverla – ha una sua logica interna. Perfettamente coerente con l’iniziale linea difensiva e con l’interpretazione che gli investigatori ne hanno dato quando l’hanno messa a confronto con le risultanze scientifiche e con le immagini delle videocamere sistemate nella via che conduce al luogo del delitto. Anche nella lettera, infatti, Frigeri non solo nega di essere l’autore del delitto, ma suggerisce un movente. Lo fa nel passaggio in cui scrive che il bambino “ha pagato per colpe non sue”. Dunque le altre vittime, è il sottinteso, avevano delle “colpe”. E’ un riferimento evidente al movente dell’usura. Quello che nei primi interrogatori Frigeri aveva tentato di accreditare accusando falsamente un commerciante di Tempio.

Nella ultime righe della lettera fa ancora di più. Interviene – per negarlo – su quello che secondo gli inquirenti è il vero movente, cioè la Golf Gt di sua proprietà che aveva affidato ad Azzena perché la vendesse. E siccome sta ragionando attorno al movente dell’usura, fa in modo di allontanarlo della vicenda dell’auto contesa. Scrive infatti che la Golf non era stata venduta e perciò non c’era alcun “debito” né di Azzena nei suoi confronti, né suo nei confronti di Azzena.

Sembra chiaro che nel corso dei numerosi interrogatori, specie nei primi, Frigeri si è fatto l’idea che gli inquirenti stanno seguendo la pista dell’usura e continua a ritenere che siano concentrati su quella. Quel che non sa è che le indagini scientifiche hanno accertato che la strage di Tempio è cominciata con un delitto d’impeto. E che la ferita sul capo di Giulia Sanzani non è stata provocata, come si era pensato in un primo tempo, da un colpo inferto con un corpo contundente, ma dallo spigolo di un mobile. Sul quale sono state trovate tracce del sangue della donna. L’ipotesi è che nel corso della lite (innescata non dalla vendita ma, al contrario, dalla mancata vendita della Golf e dall’esigenza di Frigeri di tornarne in possesso perché la sera aveva un appuntamento galante) abbia dato una violenta spinta a Giulia Sanzani e che la donna abbia urtato con la testa contro il mobile ferendosi gravemente.

In quel momento Frigeri si sente perduto. La donna è a terra, probabilmente svenuta, e perde sangue. Frigeri si convince che l’unico modo per non essere scoperto è eliminare i testimoni. Uccide Giovanni Azzena e poi il bambino. Quindi sposta i cadaveri, esce dall’appartamento e raggiunge il negozio da dove preleva dei fogli di carta. Nel panico comincia a mettere in atto i comportamenti che hanno segnato per intero la sua linea difensiva, fino alla lettera dal carcere: creare uno scenario compatibile con la presenza di altre persone. Non immagina che le videocamere prima, i Ris poi, accerteranno che sul luogo del delitto c’era soltanto lui.

N.B.

 

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