Andrea Casula aveva solo 11 anni quando suo padre Giovanni lo portò a Bruxelles: avrebbero visto insieme la squadra del cuore, la Juventus, giocare la finale della Coppa dei Campioni con il Liverpool. Un regalo inaspettato per il ragazzino cagliaritano appassionato di calcio e soprattutto di Juve, quella dei grandi Michel Platini, Paolo Rossi, Marco Tardelli e Cesare Prandelli. Era il 29 maggio del 1985, 29 anni fa: padre e figlio furono tra le 32 vittime italiane di una delle più grandi tragedie del calcio, la strage dello stadio Heysel di Bruxelles.
“Massacro per una coppa”, titolava il Corriere della Sera il giorno dopo: i disordini scatenati un’ora prima del fischio di inizio sugli spalti dai temutissimi hooligan inglesi al seguito del Liverpool provocarono il caos totale. La polizia belga era del tutto impreparata a gestire la situazione tra tifosi violenti e spettatori che cercavano di fuggire, uno dei muri divisori degli spalti non resse alle spinte e crollò, fu il delirio: alcuni dalle tribune si lanciarono nel vuoto, altri si ferirono scavalcando le recinzioni, in tanti finirono calpestati dalla ressa impazzita. Morirono 39 persone, 32 venivano dall’Italia per seguire l’avventura juventina.
In tutto questo i giocatori italiani e inglesi scesero in campo totalmente ignari di quanto era accaduto nelle tribune dello stadio: novanta minuti di gioco come se nulla fosse, mentre Rai Tre trasmetteva in diretta la partita con un impietrito Bruno Pizzul che commentava gelido.
Dopo 29 anni dalla tragedia un processo lungo sei anni ha assolto da qualsiasi responsabilità il presidente della Uefa e gli amministratori di Bruxelles, mentre 12 hooligan sono stati condannati al carcere per i disordini allo stadio. La federazione Belga, la Uefa e il Belgio sono stati costretti a risarcire le famiglie delle vittime che hanno ricevuto somme anche dallo stato italiano e da quello inglese oltre a Juventus Football Club, Fiat e calciatori juventini. Oggi nello stadio Heysel c’è una targa che ricorda le vittime della tragedia del 29 maggio. Roberto Lorentini, il medico di Arezzo che tentò invano di rianimare il piccolo Andrea Casula prima di morire, ha ricevuto la medaglia d’argento al valore civile.
Francesca Mulas