SharDna e la biobanca venduta. I donatori: “Quei campioni sono nostri”

Agosto porta consiglio, e assemblee pubbliche. E così si infiammano gli animi sulla cessione della società SharDna spa all’asta fallimentare, avvenuta a luglio (leggi qui). Per 258mila euro la Tiziana Life Sciences plc – sede a Londra, manager italiani – ha acquistato ciò che ne restava dopo il fallimento avvenuto nel 2012. Cuore dell’attività, nata nel 2000 per volere di Renato Soru, è una biobanca genetica per una società valutata pochi anni fa 4 milioni di euro. In dieci paesi, tra Ogliastra e Nuorese, sono stati raccolti 26mila campioni biologici, dal Dna al siero, donati “per la ricerca scientifica” da 13mila volontari. Tutti ai tempi hanno firmato un consenso scritto per il loro utilizzo, ma ora c’è chi mette in discussione quel patto. E parla di “tradimento”. Sullo sfondo i segreti della longevità  – la zona è classificata come Blue Zone per la presenza di molti centenari – ma soprattutto la ricerca su malattie, test innovativi e farmaci. I campioni, infatti, arrivano tutti da una zona omogenea, senza grossi stravolgimenti, e proprio per questo è considerata dagli scienziati terreno di studio “ideale”. Non solo: i campioni sono stati arricchiti da una mappatura storica, un enorme albero genealogico della zona con un incrocio al dettaglio ottenuto con l’analisi degli archivi di Curia e Comuni. A cui si aggiungono altre informazioni attitudinali.

Le scatole cinesi e i proprietari del Dna.  In mezzo il capitolo milanese della società, ceduta alla Fondazione San Raffaele di Milano, e poi travolta dal crac finanziario (leggi la storia). Nella prima vita della biobanca, a supporto di SharDna, con sede nel Parco tecnologico di Pula, c’erano sia il Cnr, sia il Parco genetico, creato apposta. Il legame con il primo è il direttore scientifico, il genetista Mario Pirastu, già alla guida dell’Istituto genetico delle popolazioni del Cnr di Alghero. Ed è ancora lui il professionista che seguirà la seconda vita scientifica promessa dalla società che ha chiuso la partita un mese fa. Il Parco genetico è invece radicato sul territorio, con un laboratorio a Perdasdefogu, dove sono materialmente custoditi i campioni e dove c’è un tecnico che esegue attività di routine. Grazie a un intreccio di partecipazioni -anche pubbliche, di due Comuni – avrebbe dovuto garantire anche delle ricadute locali. Al momento ha un presidente e proprietario: Piergiorgio Lorrai da Tortolì, 57 anni, imprenditore nel settore dispositivi medici e dentista. L’anno scorso ha acquisito le quote di Talana e Perdas che non potevano più detenerle in seguito a una norma nazionale. E ora lancia l’opposizione.

La battaglia legale. L’intento – dichiara Lorrai – è dare una mano alla comunità. Secondo il progetto tracciato si vorrebbe fare del Parco una sorta di onlus per assicurare anche “delle ricadute” sul territorio. Le stesse che da Londra ha assicurato Cerrone, a capo della Tiziana Life Sciences la cui succursale dedicata alla ricerca si chiamerà Longevia Genomics: previste assunzioni e un’attività in terra sarda. Ma la questione per Lorrai e per alcuni sindaci non è solo economica, è piuttosto etica. Così spiega: “Qualcuno ha messo all’asta il Dna donato come se fosse un arredo qualsiasi, un bancone. Questo è legale ed è corretto nei confronti di chi ha firmato il primo consenso? I proprietari di quei campioni restano i donatori”. Sul da farsi si aspettano i pareri dei legali.  “Sono stati posti dei quesiti al Tribunale di Cagliari – e un Garante della privacy italiano. Non abbiamo nulla contro chi ha acquistato, l’asta era pubblica e libera. Vogliamo solo capire se tutto è stato fatto regolarmente”. Cioè? “La biobanca è stata utilizzata per ripianare i debiti, quando un campione non può essere messo tecnicamente a bilancio o in un inventario. Ma il nocciolo resta l’uso a scatola chiusa che verrà fatto della banca genetica: un patrimonio dei sardi, svenduto in questo modo…”.

Il precedente islandese. Il caso al momento, assicurano i diretti interessati, è unico in Italia. Ci sono altre banche genetiche, anche sarde, di dimensioni più modeste e altre – sempre in zone omogenee – sono state create, una per esempio nel Salento. La cessione, invece, resta una peculiarità sarda e quindi un eventuale caso nuovo per la giurisprudenza. L’unica analogia è citata in un ampio servizio che la testata inglese The Guardian ha dedicato a SharDna (qui l’articolo): ed è quella di DeCode, in Islanda. Ma, spiega Mario Falchi, un genetista sardo che lavora all King’s College di Londra, per quella cessione –  a una società americana che ha comprato per 415 milioni di dollari – è stata necessaria una legge apposita.

Veleni tra scienziati? Anche Falchi ha lavorato a SharDna alla sua nascita e boccia chi traccia una battaglia tra ex e nuovi. “Vogliamo solo dar voce a chi, in quei paesi, è stato contattato e in assoluta buona fede ha collaborato. Non siamo contro nessuno – sottolinea ancora – ma penso sia importante approfondire l’utilizzo che verrà fatto del Dna anche alla luce degli avanzamenti tecnologici dei prossimi anni. Una questione di correttezza estrema”. Non una chiusura ma un’apertura ad eventuali collaborazioni e la possibilità di poter negare il consenso quando si vuole. Tutti problemi che ora si pone la politica locale e pure quella regionale, con alcune interpellanze, ma che di fatto negli anni della decadenza chiusa col fallimento non hanno portato a risultati concreti. Ora si tenta una sorta di azione dal basso, in tanti ripetono: “Quel Dna venduto è solo nostro”. Protestano contro un eventuale utilizzo al buio. Questione di fiducia e di “patto tradito”.

Mo. Me. 

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Il ricercatore: “La vendita di Shardna a 258mila euro? Offensiva”

 

 

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