di Andrea Tramonte
Ci sono dei bar a Cagliari che non mandano musica neppure in filodiffusione per paura di multe. Tanto e tale è il timore che alcuni operatori – raccontano da Fipe Confcommercio – chiedono ai vertici se possono far vedere le partite di calcio fuori dal locale senza incorrere in sanzioni, che poi rischierebbero di portare alla sospensione di licenze e concessioni di tavoli all’aperto. Una dinamica che spinge la maggior parte dei gestori a stare fermi e limitarsi alla somministrazione. “Una situazione veramente esagerata – dice Emanuele Frongia, imprenditore e presidente di Fipe Confcommercio Sud Sardegna -. Non c’è offerta musicale nei locali e si è tutto appiatto: ormai si beve e mangia e basta”. Il problema riguarda il “Regolamento per la concessione del suolo pubblico per l’esercizio dell’attività di ristoro all’aperto, a servizio di attività commerciali e artigianali e per attività occasionali” che, collegato al Piano di risanamento acustico approvato quest’anno, ha portato a una sua interpretazione estensiva da parte del Comune fino a creare una situazione in cui si è percepito come impossibile poter fare determinate cose in città, con un impoverimento culturale di Cagliari: in estrema sintesi, non può uscire musica fuori dai locali pena la sospensione della licenza del suolo pubblico per i tavolini. Con situazioni come quelle del bar Florio di piazza San Domenico, caso che si cita spesso perché è diventato ‘paradigmatico’: multato due volte per musica uscita fuori dal locale tra le 20 e le 22 in occasione di eventi culturali (la presentazione di una fanzine, l’inaugurazione di una mostra), ora rischia di perdere la concessione per 18 mesi con tutte le conseguenze del caso. Naturale che poi nessuno rischi più di fare alcunché. E in ogni caso anche la prudenza non è sufficiente: “Se ci troviamo di fronte a tante realtà che presentano delle irregolarità, fino al novanta per cento degli imprenditori, vuol dire che la norma non funziona”, ha detto qualche giorno fa Frongia a Sardinia Post.
Il problema va oltre l’annosa questione “diritto al riposo dei residenti” contro la “libertà di impresa economica e la difesa (e l’incremento) dei posti di lavoro”. Certo sono temi da tenere in considerazione ma la questione va inquadrata in modo leggermente più ampio. I bar sono diventati negli anni anche luoghi di sperimentazione, spazi dove si tiene unito – si alimenta – un tessuto culturale diffuso all’interno delle città. Centri ibridi, per usare una definizione tecnica, dove si portano avanti discorsi creativi, artistici e sociali. Quando si parla di rigenerazione a base culturale di luoghi ci si riferisce a interventi nel tessuto urbano basati sull’attivazione di processi innovativi in ambito creativo e sociale, che trasformano i contesti fino a renderli nuovamente vissuti, utilizzati e frequentati. È una dinamica che abbiamo visto svilupparsi anche a Cagliari negli ultimi dieci anni e in alcune zone il fulcro – in assenza di spazi culturali in senso stretto – è stato proprio il bar, che ha dato spazio a scene artistiche generando anche ricadute positive su piazze e strade, riqualificandole. Almeno fino a quando è stato possibile. Questa funzione ora si è smorzata fino quasi ad annullarsi.
Diversi operatori culturali si stanno ponendo il problema da tempo, insieme a imprenditori e titolari di locali, e cercano di elaborare delle soluzioni anche di concerto con Confcommercio per risolvere un problema che è particolarmente sentito e certo non solo tra gli addetti ai lavori. In particolare ora che si sta per insediare la nuova Giunta guidata da Massimo Zedda, l’obiettivo è quello di avviare una interlocuzione con assessori e consiglieri per riuscire a cambiare rotta. “Considerato l’attuale piano acustico, che impedisce lo svolgimento di attività musicali sia all’aperto che al chiuso per chi, come i bar, non ha le autorizzazioni di pubblico spettacolo o intrattenimento a causa di limiti di decibel irrisori, si possono esplorare ulteriori vie percorribili per contrastare la demonizzazione della musica e animare la città”, dice Teo Mannu, da anni organizzatore di eventi a cavallo tra elettronica, techno, sperimentazione e arte contemporanea, che negli ultimi tempi ha iniziato a mobilitarsi e a rafforzare una rete di operatori e imprenditori che faccia da stimolo alla Giunta e metta sul tavolo proposte concrete, anche prendendo spunto da altre città. In attesa di capire se il regolamento verrà modificato – il consigliere comunale dei Progressisti, Matteo Massa, sul tema ha aperto – il problema è come tenere viva culturalmente una città. “Bisogna creare le condizioni affinché la musica diventi parte integrante dei contenuti culturali di Cagliari, animando sia le strade del commercio che i quartieri periferici, permettendo a tutti i cittadini di accedere alla musica, anche in forma gratuita – prosegue Mannu -. Tutto ciò predisponendo un calendario annuale di eventi temporanei previsti dal piano acustico della città”.
Sul tema già la nuova maggioranza di centrosinistra in Comune sembra orientata a procedere in questa direzione, rendendo più semplici le procedure per le autorizzazioni in deroga per eventi musicali e in generale culturali per l’estate. Del resto Massimo Zedda ha detto esplicitamente che una delle urgenze è quella di programmare eventi per l’estate, che altrimenti rischia di essere estremamente povera su questo versante. Tra gli operatori si fa riferimento a quanto fatto a Firenze con “lo snellimento delle procedure per realizzare concerti entro le ore 24 e con meno di 200 spettatori – spiega Mannu – applicato dal Comune di Firenze grazie alla legge Boeri, all’interno del Decreto valore cultura. Questa legge, ispirata al “Live music act” britannico, ha consentito la nascita di 25.000 nuove imprese culturali in pochi anni, creando migliaia di nuovi posti di lavoro”. Gli operatori culturali però guardano anche più in là: “L’idea di sostituire la vita culturale prodotta dai bar o concentrarla in poche e capienti location come si sente spesso proporre, non è sostenibile – aggiunge Mannu -. La produzione musicale dal basso è molto viva e la negazione di possibilità come quelle offerte dai bar o piccoli luoghi rappresenta una perdita concreta sia per i giovani che per i meno giovani”. Per concludere: “Solo una volontà pubblica davvero forte, non solo politica, potrebbe far riconsiderare i bar come luoghi delle cultura musicale, con limiti acustici differenti che garantirebbero la diffusione del suono in maniera comunque rispettosa come già accade in latri paesi del mondo civili”.