Quei ‘filindeu’ pensando alla Deledda. Marina Ravarotto, chef in ChiaroScuro

L’idea è quella di raccontare la sua terra d’origine attraverso una serie di tradizioni, prodotti e piatti legati alla gastronomia barbaricina. Il perimetro entro cui si muove la chef Marina Ravarotto, classe 1981, è reso esplicito fin dal nome scelto per il suo ristorante cagliaritano, ChiaroScuro: il titolo di una delle più belle raccolte di novelle di Grazia Deledda. C’è in lei una nuoresità esplicita, conclamata, rivendicata anche nella scelta degli arredi e nei piatti che richiamano la storia culinaria della sua città.

La tradizione per lei però non è qualcosa di immutabile, assoluto: va al passo coi tempi, si aggiorna e trova connessioni apparentemente insolite. Prendiamo il piatto più riconoscibile della chef, su filindeu in brodo di pecora. Il filindeu, è noto, è la pasta più rara al mondo: solo tre donne del Nuorese conservano tecnica e manualità per produrla. Si tratta di una pasta di semola che assume la forma di tanti filamenti sottili, “i fili di Dio” appunto, ottenuti attraverso una procedura abbastanza complessa tramandata da madre a figlia da generazioni. Il piatto è legato storicamente alla festa di San Francesco di Lula, che si svolge nelle notti del primo maggio e del 4 ottobre, durante le quali i fedeli si recano in pellegrinaggio nel santuario campestre ai piedi del monte Albo. Dopo trenta chilometri di cammino i pellegrini vengono accolti nelle “cumbessias”, piccole case intorno alla chiesa, dove viene offerto loro un piatto caldo di su filindeu.

La versione proposta dalla chef parte certamente da qui ma con alcune differenze significative, in un mix di tradizione barbaricina e tecnica francese. “Per rendere il brodo delicato quanto la pasta lo chiarifico”, spiega Ravarotto. “Preparo prima un brodo di pecora normale, con le ossa e un po’ di carne. Dopo quattro, cinque ore di cottura lo raffreddo in abbattitore in modo che il grasso salga in superficie. A quel punto lo faccio riposare per un giorno. Intanto macino la polpa di pecora, insaporita con le spezie (alloro, mirto) e il vino rosso, e la amalgamo bene con i bianchi d’uovo. Il giorno dopo unisco polpa e brodo e li porto a bollore. Dopo un po’ si forma una cappa, che amalgama tutte le impurità del brodo. Faccio bollire ancora per trenta minuti e poi passo al setaccio”. Il risultato finale è un piatto più leggero e molto più equilibrato nei sapori, sintesi e fiore all’occhiello di un percorso culinario che non ha paura di calare la tradizione in un contesto più contemporaneo: rispettoso ma assolutamente personale.

Marina Ravarotto inizia nel ’96 con la scuola alberghiera a Orosei e poi con una serie di esperienze tra Olbia, Cagliari, Livigno. All’inizio la vocazione sembra quella di pasticciera ma poi inizia a prendere coscienza di voler stare in cucina. “Inizialmente non ero molto convinta, mi sembrava un mondo davvero strano. Anche più difficile per una donna, che incontra grandi difficoltà in cucine invase da uomini. Ho un carattere forte e ho cercato sempre di lavorare a testa alta e non farmi mettere i piedi in testa”. La svolta arriva con il lavoro insieme allo chef Mario Tirotto al resort Valle dell’Erica a Santa Teresa di Gallura. “È stato con lui che ho iniziato ad amare davvero questo lavoro, a prendere atto di quella che sarebbe stata la mia vita da quel momento in poi: con tutti i sacrifici che avrebbe comportato fare la chef”. Le altre due esperienze significative sono con gli stellati Stefano Deidda de Il Corsaro e Roberto Petza di S’apposentu. Il primo le insegna numerose tecniche moderne, la panificazione e l’importanza dell’impiattamento (“La prima cosa che fa il cliente è guardare il piatto, deve iniziare a mangiarlo visivamente”). Dal secondo impara il sottovuoto, la oliocottura, la conoscenza delle carni e soprattutto un’idea di cucina fortemente legata al territorio. Infine la sfida da chef imprenditrice, con l’apertura – esattamente un anno fa – del ristorante ChiaroScuro a Cagliari.

Il progetto è portato avanti insieme alla socia sommelier Francesca Cadinu e nasce con l’obiettivo di proporre un’idea molto precisa di cucina, in cui siano protagoniste la Barbagia in generale e Nuoro in particolare. In poco tempo Ravarotto ha iniziato a emergere in un ambiente gastronomico come quello cagliaritano che da qualche anno ha dato prova di grande vitalità, con l’apertura di nuovi ristoranti e proposte più originali, creative e “gourmet” che in passato. E nel giro di un anno ChiaroScuro è entrato nelle guide del Gambero Rosso, di Slow Food e di Identità Golose.

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Uno dei cavalli di battaglia della chef è il pane frattau, anche questo leggermente rivisitato. “I segreti sono la salsa di pomodoro e il brodo di pecora, lo stesso dei filindeu. Immergo il pane carasau lì dentro, poi metto il pecorino grattugiato e infine aggiungo l’uovo, che viene cotto a bassa temperatura”. Tecnica che torna anche in un piatto introdotto di recente nel menù, l’uovo con tartufo di Laconi adagiato su crema di cipolla. La tradizione tout court è richiamata nell’antipasto tipico, con lumache al sugo di pomodoro, lingua di manzo salmistrata, purpuzza e poi selezioni di salumi di Orune, formaggi e casu axedu con miele e mandorle (“una ricetta che ho inventato io e che consente di unire acidità, dolcezza e croccantezza”).

Le materie prime arrivano da produttori soprattutto barbaricini: le carni da Orgosolo e Orune, la sapa da Mamoiada, la seada da Nuoro. Una scelta qualitativa – certi sapori puoi proporli solo se sai dove trovarli – e anche etica. “Mi piace collaborare coi piccoli produttori. Mettono il cuore in quello che fanno e trovo giusto dare un mio piccolo contributo per valorizzarli, farli conoscere”. In altri piatti Ravarotto – sempre affiancata dal sous chef Andrea Xaxa – mischia un po’ le carte, giocando con ricette di altre culture. I macarrones de busa alla carbonara, ad esempio: una pasta di Oliena per un piatto della tradizione romana rivisitato con pancetta e purpuzza. Tutte le paste sono fatte in casa, idem pane e dolci. A parte certi piatti – su filindeu, pane frattau e l’antipasto tradizionale – le proposte cambiano cercando di seguire il cambio delle stagioni. E da qualche mese è stato introdotto anche il menù degustazione, che rappresenta – ovviamente – “un modo per far conoscere la Barbagia. Ma in piccole porzioni”.

Andrea Tramonte

(La foto della chef è di Elisa Pili)

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