Di quella notte del 15 aprile 2013 in cui le ciminiere della centrale Ottana Energia eruttarono una sostanza nera e vischiosa che annerì centinaia di pecore, il patron Paolo Clivati e il direttore dell’impianto Mario Tatti dovranno rispondere in Tribunale. L’accusa rivolta ai due dal pm Andrea Vacca e messe nero su bianco nel decreto di citazione diretta a giudizio è di “aver eseguito un medesimo disegno criminoso in concorso e cooperazione tra di loro”. In altri termini, Clivati e Tatti avrebbero bruciato una miscela acqua-carbone nota come Cwf al posto dell’ordinario olio Btz, “operando una modifica sostanziale dell’impianto senza le necessarie autorizzazioni”. Dagli atti emerge, inoltre, che “il Cwf fu utilizzato la prima volta nel dicembre del 2012” e “… attaccatosi e incrostatosi alle pareti della ciminiera sarebbe stato espulso il 14 aprile di due anni fa”.
Il punto, dunque, è che al tempo il via libera da Arpas e Provincia di Nuoro non era ancora arrivato (arriverà solo a settembre del 2013). Tant’è che “l’azienda non aveva prodotto tutta la documentazione necessaria ai due enti per esprimere le proprie valutazioni. E non era nemmeno chiaro se per la sperimentazione si dovesse attivare la valutazione d’impatto ambientale, poi esclusa – ma illegittimamente dalla Regione e dalla provincia”.
Il pm ritiene, infine, Clivati e Tatti responsabili di “aver gettato cose in luoghi di pubblico transito e in luoghi privati ma di comune e altrui uso, cose atte ad offendere, imbrattare e molestare persone e in casi non consentiti dalla legge provocavano emissioni di gas di vapori e di fumo atti a offendere, imbrattare e molestare persone”. In pratica, una sorta di stalking ambientale. Certo è che sarà difficile sostenere che la nube nera poi arrivata fino all’agro di Noragugume, sia stata causata da un semplice “rogo di sterpaglie”, come suggerito da Clivati all’indomani dell’incidente.
Piero Loi