L’INTERVISTA. ‘Il giorno del giudizio’ a Capo Malfatano

“Il giorno del giudizio” è ancora attuale in Sardegna. Il figlio di Salvatore Satta, lo scrittore giurista sardo autore del noto romanzo, è Filippo Satta, professore emerito in diritto amministrativo, che vive e lavora a Roma. Satta ha recentemente vinto in Cassazione la causa contro la costruzione di un resort di lusso a Capo Malfatano, a Teulada, sud ovest dell’Isola. Incaricato dall’associazione Italia Nostra, in difesa del patrimonio culturale ed ambientale, contro una cordata di imprenditori quali Silvano Toti, il gruppo Benetton, la Sansedoni (gruppo Montepaschi), per un progetto che, una volta compiuto, si doveva affidare al Mita Resort di Emma Marcegaglia. Anche se, di recente, un nuovo allarme è stato lanciato dall’associazione ambientalista Grig. In particolare Satta si occupa di tematiche per lo sviluppo economico, quali infrastrutture, edilizia ed ambiente.

Satta, ci può spiegare meglio la vicenda di Capo Malfatano?

Si tratta di una lottizzazione concessa per edificazioni di strutture alberghiere, su circa 400 ettari, che prevedeva un numero sterminato di case ed edifici. In una zona di una bellezza incontaminata. La Sitas (Società Iniziative Turistiche Agricole Sarde, ndr) ha presentato un piano non organico. Circa 300 pratiche singole, apparentemente una indipendente dall’altra. L’unica amministrazione che si è accorta che si trattava di un unico progetto è stata la Soprintendenza. Il tutto è partito dagli inizi del 2000 circa.

Ma come mai alla Regione non si sono accorti di questa anomalia?

Questo lo chieda a loro. Non a me…Alla fine hanno presentato cinque mega progetti.

Si può dire, dunque, che entrambe le amministrazioni regionali, sia quelle di destra che di sinistra, avrebbero potuto accorgersi di questa anomalia?

Certo, avrebbero potuto e dovuto accorgersi. Non c’è dubbio. Noi abbiamo impugnato quando finalmente Italia Nostra ha trovato i documenti, e la forza, per impegnarsi in una sfida di questo genere. Abbiamo vinto al Tar, al Consiglio di Stato e in Cassazione. La vicenda ora è totalmente conclusa.

Come si inserisce la storia del pastore, Ovidio Marras, in questa vicenda?

Non era compresa. Nessuno si è occupato in realtà del pastore. Niente di rilevante ai fini del contenimento di questo scempio.

Quale figlio di Salvatore Satta, che importanza ha avuto la figura di un padre giurista nella sua formazione professionale?

È una domanda difficile, cui forse potrebbe rispondere meglio una terza persona, non la parte direttamente interessata. Sa, vivere e crescere con un padre di quella statura, che è emersa poi. Io e mio fratello lo abbiamo riconosciuto solo diventando grandi. Io mi sono occupato di tante cose, ho studiato, amavo andare al mare che invece mio padre non tollerava. Mi è molto piaciuto il diritto, mi è piaciuto il diritto pubblico, in particolare. Lui diceva di non capire come io potessi occuparmi di diritto pubblico. Non credeva, infatti, ci potesse essere un diritto al di fuori del diritto privato, la sua disciplina.

Alla luce di fatti che la richiamano le cronache nazionali, come vede lei oggi la Sardegna?

Secondo me la Sardegna oggi avrebbe bisogno di darsi un po’ di energia. Molti sardi sono come addormentati: perché il patrimonio di bellezze naturali, di storia, di mare, che è sempre un bene così prezioso l’hanno utilizzato soltanto in minima parte. La gente sta quindici giorni, venti giorni all’anno e poi basta. Per fortuna ci sono degli sforzi culturali importantissimi, penso per esempio alla Fondazione ‘Salvatore Satta’, che a Nuoro è davvero ammirabile. La cosa più importante da fare oggi sarebbe quella di consentire ai giovani bravi di andare a formarsi fuori dalla Sardegna: in Università italiane, europee e possibilmente anche americane. E di tornare, poi, ricchi di un carico culturale e di una mentalità più ampia, e intervenire quindi nell’agone politico, per gestire in maniera diversa lo sviluppo della società.

Lei sa che dal 2007 la Regione ha promosso una serie di borse di studio chiamate ‘Master and Back’?Avevano come scopo proprio quello che lei ha appena descritto. L’esito di questa operazione non è stato, però, proprio brillante. Molti giovani sono rimasti fuori dalla Sardegna, dal momento che il loro rientro andava a minare uno status quo di posizioni privilegiate nelle varie istituzioni sarde…

No, non lo sapevo. E certo, non ci sono dubbi, che si inneschi questo ‘strano’ meccanismo.

È dunque ancora valida l’espressione di suo padre, di una Sardegna avvolta da una «demoniaca tristezza», o di una Nuoro dipinta come un «nido di corvi», città abitata da gente che «sembra il corpo di guardia di un castello malfamato»?

Questa è una cosa che io non mai condiviso di mio padre. Secondo me questa era una trasposizione di certi suoi stati d’animo. I demoni sono gli uomini. Non ci sono demoni che vadano a spasso a disturbare la gente. Ci sono i ladri. Ci sono i corrotti, che sono pericolosissimi. Per il resto la gente riesce a fare quello che vuole fare. Se la gente non vuole fare, non si può parlare di demoni. Si parla di pigri. Si parla di gente che non ha voglia, che non si impegna. Che è contenta di quello che ha in mano.

Davide Fara

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