“Mi piace moltissimo il mare. Nessuno mi ha mai insegnato ma ho imparato subito a nuotare come un pesce. A volte quando sono triste, quando sento nostalgia di casa o la mancanza di mia madre, vado al mare. Lì dimentico tutto, e penso che in fondo anche questo mare è la mia mamma”. Latif non ha mai sentito parlare di Sergio Atzeni, non ha idea che vent’anni fa una certa Cate, nel racconto dal titolo ‘Bellas mariposas’, guardava il mare e usava parole simili alle sue. “Quando nuoto dimentico tutto casa quartiere futuro mio babbo il mondo, mi dimentico di tutto. Dovevo nascere pesce”.
Abdellatif Yakoubou, per gli amici Latif, ha appena 18 anni ed è nato nella Repubblica del Benin, piccolo stato dell’Africa centro-occidentale. Vive a Cagliari da undici mesi, ospite di una struttura per migranti in attesa che lo stato italiano accolga la sua richiesta di protezione. È approdato in Sardegna il 18 luglio di un anno fa a bordo della Siem Pilot nel primo dei grandi sbarchi di migranti che hanno interessato l’Isola. Allora era minorenne: fuggiva da una drammatica situazione familiare, da un paese dove non vedeva nessun futuro, dove “i politici non si hanno il minimo riguardo delle persone ma pensano solo ai loro interessi”.
Una situazione insopportabile e priva di prospettive che lo ha convinto a inseguire un sogno: quello di lasciare il suo paese per attraversare il Mediterraneo alla ricerca di una vita migliore. “Il mio desiderio? Sin da piccolo è stato quello di fare il giornalista”. Un incontro casuale, a Cagliari, lo sta portando sulla strada giusta: ai primi di dicembre ha conosciuto Valentina Bifulco, giornalista cagliaritana che sta lavorando a ‘Nois’, tg per migranti ideato da Sardegna Teatro in collaborazione con Eja TV e lo ha coinvolto nel progetto.
Latif è oggi impegnato nella redazione, segue le riunioni, discute dei servizi, va in strada per le interviste: un’occupazione che gli garantisce un rimborso spese e la prospettiva di una professione.
“Ho lasciato il mio paese nell’aprile 2015 – ci ha raccontato Latif durante la pausa dell‘incontro organizzato oggi a Cagliari in occasione della Giornata Mondiale del Rifugiato – ho affrontato un lungo viaggio verso la Libia e da lì mi sono imbarcato per l’Italia. È stata dura, sono partito con l’idea che avrei potuto non farcela ed ero completamente solo, a parte alcuni ragazzi africani con cui ho fatto amicizia durante il viaggio. Ma la speranza è stata più forte della paura, e finalmente sono arrivato”.
Dopo i controlli al porto di Cagliari i 450 migranti arrivati qui il 19 luglio scorso insieme a Latif sono stati sistemati nelle 85 strutture per l’accoglienza temporanea distribuite nell’Isola. Lui è stato assegnato al Cara, il Centro per l’Accoglienza Richiedenti Asilo che allora si trovava a Elmas, nell’ex aeroporto militare. Qualche mese dopo la struttura è stata chiusa e gli stranieri trasferiti altrove: Latif è stato sistemato in un appartamento di via Basilicata, gestito dal Consorzio Csr. “La mia vita a Cagliari è completamente cambiata da quando hanno chiuso il Cara: ora che sto in una casa in città ho iniziato a frequentare la scuola di italiano, dove ho già preso la certificazione A2, e sono impegnato con il Tg dei migranti”.
Il tempo libero Latif lo passa come molti suoi coetanei sardi: gioca a calcio con una squadra di seconda categoria, va in piazza Yenne o in paninoteca. “Mi piace anche stare da solo: quando non ho impegni con la scuola o con la redazione esco: amo camminare, vedere la città, incontrare la gente. Mi piace molto la vita di Cagliari, la trovo bellissima. E poi le ragazze sono splendide”. E come i diciottenni sardi anche Latif cerca l’amore: ha incontrato una ragazza ma non è andata bene, in compenso sono rimasti amici e lei lo aiuta a imparare l’italiano: “Ci sentiamo per messaggio, lei mi risponde e mi corregge gli errori”.
Qualcosa che non gli piace della vita a Cagliari c’è: è la vista degli stranieri che passano la giornata in piazza, senza fare nulla: “Non lo capisco, se siamo qua dobbiamo impegnarci in qualcosa. Per me ad esempio era fondamentale studiare subito la lingua: non posso dire oggi che parlo bene, ma insomma, sto imparando”. La vita sembra scorrere serena per lui tra impegni, la prospettiva di prepararsi a un lavoro e riuscire a integrarsi nella città che lo ha accolto, anche se a volte la nostalgia di casa è tanta e il pensiero della madre che ha lasciato lì lo rattrista. “Allora vado al mare da solo, cammino o nuoto per qualche ora, e dopo mi sento meglio”.
Gli chiediamo se ha mai sentito parlare di un certo Sergio Atzeni. “No, non lo conosco, ma adesso cerco qualcosa su di lui”.
Francesca Mulas