LA SENTENZA. Il pozzo della Saras incompatibile con il Piano paesaggistico

La sentenza con cui il Tar ha ricusato le tesi della Saras sul progetto Eleonora potrebbe non segnare l’epilogo di una vicenda che, tra conferenze di servizi, carte bollate e manifestazioni popolari, va avanti da circa quattro anni. La Saras non ha infatti reso note le sue intenzioni, pertanto non si può escludere un futuro ricorso al Consiglio di Stato da parte della società petrolifera. In ogni caso, la decisione dei giudici amministrativi è chiara: a differenza di quanto sostenuto dalla ricorrente (la Saras, per l’appunto), il pozzo esplorativo “Eleonora 01-dir” non è né un’opera temporanea e precaria né una cosiddetta “infrastruttura puntuale”. Vale a dire che l’intervento in questione non è riconducibile alle opere autorizzabili in conformità al Piano paesaggistico. Questo ha stabilito il Tar, aggiungendo che, “laddove il regime di tutela del paesaggio sia assolutamente inderogabile e si ponga come irrimediabilmente ostativo, l’intervento non è neanche prospettabile”. Secondo i giudici, bene, dunque, ha fatto il Savi a dichiarare l’improcedibilità della valutazione d’impatto ambientale del progetto, riferendosi alle norme del Piano paesaggistico regionale che tutelano la fascia costiera e, nel caso specifico, anche lo Stagno di S’Ena Arrubia.

Nella sentenza, i giudici ricordano dunque che il progetto sottoposto a VIA “comporta la trasformazione di circa 12.840 mq. di terreno incontaminato (7.750 per area piazzale, 3.280 mq. quale pertinenza mineraria, 1.550 mq. per parcheggio automezzi di cantiere, 260 mq. necessari per la collocazione della fiaccola)”. Inoltre, “l’area di intervento è divisa in tre zone: piazzale di trasformazione; zona impianto con bacini di contenimento; strada di collegamento e area di parcheggio. La postazione sonda (pozzo di perforazione) avrà una superficie pari a mq. 7.750, di cui circa 3.000 mq. occupati da una piattaforma di cemento armato di altezza variabile tra i cm. 30 e i cm. 40. Nell’area cementata verrà localizzata la torre di perforazione, alta circa 40 m. Nel resto della superficie interessata verrà invece localizzata la strumentazione di cantiere (container con uffici, servizi, etc.). In un’ulteriore area verranno accumulate le terre provenienti dallo scotico e dagli scavi”.

È proprio alla luce di questi dati che il Tar esclude “la presenza di volumi di modesta entità e comunque tali da non alterare lo stato dei luoghi”. Oltre a ciò, “il carattere temporaneo è smentito dalla prevista durata di circa 1 anno e mezzo della realizzazione dell’opera, senza considerare il fatto che, a fine lavori, è prevista la permanenza in sito di una struttura denominata ‘testa di pozzo’ e del locale ‘cantina’. Mentre il carattere “precario” è radicalmente escluso dal fatto che la struttura è prevista come “saldamente ancorata al suolo”: si pensi, ad esempio, alla “torre” alta circa 40 m. e al plateau in cemento.

Respinta anche la tesi della Saras secondo cui l’intervento rientra tra le infrastrutture puntuali che comprendono le opere collegate al sistema dei trasporti, alla viabilità o al ciclo dei rifiuti previste dal piano paesaggistico. Qui, il punto è che queste norme non possono essere interpretate estensivamente o, addirittura, in modo analogico, così da includervi anche i pozzi per la ricerca e l’estrazione di idrocarburi.

I giudici amministrativi hanno così respinto l’istanza di annullamento dell’atto che ha portato il Savi a dichiarare l’improcedibilità della valutazione d’impatto ambientale e la richiesta di risarcimento di 7,2 milioni di euro per le spese sostenute in studi, analisi e sondaggi relativi al progetto archiviato dalla regione.

La giornata di oggi consegna dunque una sentenza, tutta incentrata sulla tutela del paesaggio, di cui quasi sicuramente si tornerà a parlare.

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