“La deportazione nei lager nazisti? Per la Sardegna è solo un ricordo sbiadito”: lo storico Aldo Borghesi da tempo lavora con l’Issra, Istituto Sardo per la Storia della Resistenza e dell’Autonomia e negli ultimi anni si è concentrato soprattutto sulla deportazione dei Sardi durante il Nazifascismo. Suo è il contributo ‘Sardi nella deportazione’, pubblicato all’interno del volume “Deportati, deportatori, tempi e luoghi” edito da Mursia e promosso dalla Associazione Nazionale ex Deportati che cerca di fare luce su un passato per molti aspetti ancora nebuloso.
Per tanto, troppo tempo la presenza di sardi nei campi di lavoro, concentramento e sterminio è stata considerata minima e marginale, ora grazie agli studi dell’Issra sappiamo che settant’anni fa tra Auchwitz, Birkenau, Mauthausen e negli altri lager nazisti passarono oltre duecentocinquanta isolani. La maggior parte di loro morì di stenti, durante estenuanti marce sotto la neve o nelle camere a gas, in pochi riuscirono a tornare.
Gli studi di Borghesi e di altri storici oggi hanno ricostruito nomi, storie e volti degli Sardi che hanno visto con i loro occhi l’orrore nazista ma sono ancora tanti i tasselli mancanti. Fino a qualche anno fa istituti storici come Issra ricevevano contributi regionali per portare avanti studi e ricerche. E oggi? “Oggi la quota che la Regione riserva al nostro istituto è zero – sottolinea Borghesi – continuiamo a lavorare, ma a nostre spese”.
Zero totale anche per Anpi, l’Associazione Nazionale Partigiani Italiani che ha sede in tutte le province italiane e da qualche anno anche in Sardegna: esigui i contributi degli anni scorsi, neanche un euro per 2014 e 2015. “La partecipazione degli italiani meridionali nella storia della Resistenza è stata imponente, come è emerso anche da un convegno nazionale organizzato a Napoli dall’Anpi nei giorni scorsi – ha sottolineato Marco Sini, presidente della sezione provinciale – e anche i sardi hanno fatto la loro parte. Si dovrebbero investire più risorse ed energie nella memoria, che non deve essere concepita solo come memoria del dolore ma soprattutto come momento di riflessione. La storia è fatta di tante storie minori, e abbiamo il dovere di conoscerle e raccontarle”.
Francesca Mulas