Alle 10 del mattino di un assolato venerdì di febbraio, nella foresta del Marganai la luce filtra appena. Lasciata Domusnovas alle spalle, nel giro di qualche chilometro si viene inghiottiti da una vasta lecceta, la temperatura inizia a diminuire e ci si rende subito conto di essere nel bel mezzo di un santuario naturalistico unico al mondo.
Almeno finquando il sentiero sbuca laddove la foresta ha lasciato il passo alle motoseghe. Lì i lecci scompaiono, il sole si riprende la terra e delle decine di metri d’alto fusto rimangono solo pochi centimetri. È il punto in cui, nel 2013, sono passate le squadre della cooperativa di Domusnovas che si è aggiudicata l’appalto per tagliare circa 35 ettari di bosco e farne legna da ardere, così come previsto da un progetto firmato dall’Ente foreste. Che ha deciso di giocare al rialzo, prevedendo tagli fino al 2021 per oltre 540 ettari. Ovvero il 25 per cento dell’intera foresta di leccio, che si estende per circa 2.300 ettari.
Tant’é: nel giro di qualche settimana, è venuto via quel che tornerà rigoglioso non prima di una quarantina d’anni. Ad esser fortunati. Perché i cosiddetti polloni – i rami che si sviluppano alla base dell’albero appena tagliato per poi dare vita alla futura pianta di leccio – non se la passano tanto bene: ci pasteggiano i cervi e non riescono a crescere. Quando ci sono. Perché in alcuni casi, a distanza di due anni i polloni non sono nemmeno spuntati.
Nel mezzo dell’ultima tagliata rimane in piedi solo qualche decina di lecci, come prescritto dalle norme forestali in materia di ceduazione. La maggior parte è esile, anche se sulla carta dovrebbero essere lasciati gli esemplari più grossi e forti (art. 44). Che però, guarda caso, sono anche quelli che rendono di più perché hanno più legna. E spesso vengono abbattuti. È il caso di un leccio che viste le dimensioni della base del tronco, doveva avere oltre cento anni. Un caso curioso: le prescrizioni – quelle che dovrebbe far rispettare il Corpo forestale – vietano infatti l’abbattimento degli alberi che hanno superato i 75 anni.
Lasciati per un momento da parte i lecci, nella tagliata non se la sono cavata bene nemmeno gli agrifogli, sulla carta intoccabili. Non avendo più la protezione della lecceta, nel migliore dei casi sono alla mercè del vento e della neve. E a migliorare la situazione non concorrono certo i cervi, che ne hanno rosicchiato la corteccia sentenziandone quasi sempre la morte. Sta di fatto che laddove non arrivano gli ungulati, ci pensa il maestrale. E infatti, alla prima folata parecchi agrifogli son cascati a terra. In termini tecnici si chiamano schianti, e i 35 ettari di taglio sono cosparsi di alberi con le radici all’aria. Gli esili lecci lasciati in piedi, non fanno eccezione.
E non se la passano bene neppure le ginestre, altra specie considerata intoccabile. Quando i camion e i mezzi pesanti si sono trovati la strada sbarrata da un campo di ginestre, hanno optato per una soluzione molto semplice: inserire la prima e schiantare al suolo le piantine. Due anni dopo, i segni sono ancora ben visibili.
Un intervento che, di primo acchito, pare suscitare più di qualche dubbio, confermato dall’unica – finora – relazione scientifica prodotta sugli effetti dei tagli nel complesso del Marganai. L’hanno firmata il professore Angelo Aru, uno dei padri dell’agronomia e geopedologia in Sardegna, l’ingegnere ambientale Francesco Aru e il geologo Daniele Tomasi, ovvero i professionisti del team che si sta occupando di aggiornare il piano di gestione del complesso del Marganai. La relazione è stata inviata anche al commissario dell’Ente foreste Giuseppe Pulina. Tra gli effetti segnalati c’è soprattutto l’erosione del suolo, ma dalle immagini si nota – tra gli effetti più evidenti – pure la sostanziale scomparsa della ‘lettiera’ del sottobosco – formata da foglie, terra morbida e umida, e humus – che ha fatto posto ad uno strato di terreno duro. Sul quale difficilmente germoglieranno le ghiande dei lecci rimasti.
Pablo Sole
(Foto di Alessandra Cadeddu)