A cinque anni dalla tremenda strage che venne compiuta a Tempio nel maggio del 2014 quando Angelo Frigeri, 34 anni, sterminò una intera famiglia, i commercianti Giovanni Azzena, la moglie Giulia Zanzani e il figlioletto di 11 anni, Pietro, il palazzo dove fu commesso il triplice delitto è stato messo in vendita dai proprietari.
Lo stabile, che si trova al centro di Tempio, in via Villamarina, è rimasto chiuso dal giorno della strage. Il negozietto di scarpe per bambini, situato al piano terra e dove lavoravano Giovanni Azzena e la moglie Giulia è stato svuotato e ripulito, mentre le vetrate sono state coperte in attesa del nuovo compratore. Sprangato anche l’appartamento al primo piano, che all’epoca era già disabitato, e gli uffici di un professionista del posto, situati al secondo piano. Tutto è stato messo in vendita. Nessuna indiscrezione da parte dei tre proprietari, sulla cifra che intendono realizzare, la cui cessione è stata affidata a una agenzia immobiliare del posto che si occuperà di far vedere i locali e trattare con i potenziali acquirenti.
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Angelo Frigeri, un antennista che aveva avuto rapporti d’affari con la famiglia Azzena, venne condannato all’ergastolo dal gip del tribunale di Tempio. Condanna già passata in giudicato dopo la conferma della pena in appello e la decisione della Cassazione che nel giugno del 2017, ha chiuso definitivamente quella terribile la vicenda giudiziaria. Che Angelo Frigeri fosse l’unico responsabile di quella assurda mattanza fu chiaro sin dalle ore immediatamente successive l’omicidio, quando i filmati della telecamera posizionata in via Villamarina furono acquisiti e visionati dagli investigatori. Nel vicoletto dove si trova l’ingresso dell’appartamento della strage era entrato soltanto Angelo Frigeri e le sue tre vittime.
Una conferma giunta dalle tracce del Dna lasciate dall’assassino nell’appartamento e rilevate dagli uomini del Ris di Cagliari sul cavo per antenna televisiva con il quale aveva strangolato, dopo averli tramortiti, marito e moglie e sul giubbotto nel quale era rimasta impressa l’impronta facciale (Dna) del piccolo Pietro, che venne soffocato dal suo assassino tenendolo stretto al petto.
Per Angelo Beccu, il sostituto procuratore della Repubblica che indagò sul terribile caso, si trattò di un delitto d’impeto, una terrificante sequenza di morte che sfuggi di mano all’antennista il quale, dopo l’eccidio, si impossessò della carte di credito delle vittime e, prelevate poche decine di euro dal bancomat, portò a cena una ragazza in un ristorantino della costa. La sua ultima pizza: poche ore dopo venne arrestato.
G.P.C.