Esperimenti sul 5G, i medici alla politica: “Ci sono troppi rischi per i cittadini”

“Saremo trattati come cavie e ne pagheremo le conseguenze sulla nostra salute”. Parola di Domenico Scanu, presidente regionale dell’Isde l’associazione italiana dei medici per l’ambiente. Parla di 5G, la tecnologia mobile di quinta generazione che spalancherà le porte al cosiddetto “Internet delle cose”: un nuovo mondo di connessioni potenziate che faciliterà l’accesso ad ogni apparecchiatura elettronica sia a livello domestico sia nelle città. In Sardegna sarà sperimentata a Cagliari e nei paesi di Noragugume, Pompu e Segariu. Ma per i medici i rischi sono elevati e ora chiedono uno stop.

Il 5G è pericoloso?

Il 5G sarà un esperimento sulla salute di tutti. Saremo immersi in un mare di onde elettromagnetiche che andranno a sommarsi a quelle del 3G e 4G esistenti. Queste lavorano in uno spettro che varia da alcune centinaia di megahertz a pochi gigahertz. Il 5G invece utilizzerà onde centimetriche e millimetriche su frequenze mai impiegate prima con un numero di dispositivi così elevato e su scala così ampia in aree urbanizzate. Per capirci, in Italia tra le bande di frequenza messe all’asta c’è quella dei 26 gigahertz. Significa che la frequenza delle onde aumenterà, l’esatto opposto di quello che i ricercatori medici auspicano sulla base dei loro studi.

Cosa si rischia?

Oltre ai rischi oncologici ci sono quelli sull’apparato riproduttivo, sulle alterazioni ormonali, di tipo neurologico e metabolico. Siamo delle cavie di uno dei più grandi esperimenti che si stanno facendo al mondo senza possibilità di scampo, tutti vivremo delle conseguenze sulla nostra pelle. La prima preoccupazione è per i bambini, più vulnerabili alle radiazioni elettromagnetiche. C’è poi una letteratura scientifica sulle patologie, tumori intracranici ad esempio, legate all’uso prolungato dei telefoni cellulari. Il National Toxicology Program statunitense ha riscontrato tumori cardiaci e cerebrali nei topi utilizzati per gli esperimenti. Dati avvalorati in Italia dagli studi dell’Istituto Ramazzini che ha sempre previsto con largo anticipo ciò che poi sarebbe stato certificato da altri istituti. Ad esempio aveva definito il benzene cancerogeno già nel 1979, lo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro) l’ha fatto nel 2012…

Ci sono dati certi sulla pericolosità del 5G o siamo ancora a una fase embrionale?

Proviamo a paragonare il 5G a un farmaco. Questo prima di essere introdotto in commercio affronta una valutazione preclinica utile a comprenderne benefici e rischi tossicologici. Supera varie fasi, viene esaminato da un comitato etico e deve avere il consenso informato di chi decide di sottoporsi alla sperimentazione. Di solito passa un decennio. Ora, se il 5G fosse un farmaco in questo momento non avrebbe superato neanche la prima fase di valutazione preclinica proprio perché non ci sono dati sugli effetti biologici tali da far avanzare questa sperimentazione. Da noi invece viene sottoposto a quattro milioni di italiani solo perché il Governo ha deciso che questa tecnologia migliorerà la qualità della vita delle persone. E nel giro di tre anni sarà estesa a tutta l’Italia. Le comunità non sono state adeguatamente informate, addirittura Cagliari si è offerta volontariamente.

Cosa dovrebbero fare le istituzioni?

Il comitato scientifico dell’Isde ad aprile ha inviato una lettera al ministro del Lavoro, Luigi Di Maio, nella quale ha chiarito che nessuno vuole ostacolare il progresso però bisognerebbe riportare tutto a un corretto equilibrio tra i rischi possibili e le esigenze di profitto. Bisognava porre un’attenzione particolare a questa forma di inquinamento, era importante portare avanti altre ricerche. Visto che siamo in campagna elettorale, mi rivolgo ai candidati sindaci perché prendano in considerazione un ritiro della sperimentazione del 5G a Cagliari. In Belgio, a Bruxelles, è stata bloccata.

Ci sono altri grandi rischi per la salute dei sardi su cui si dovrebbe tenere la guardia alta?

In Sardegna il rapporto tra ambiente e salute è gravemente compromesso. Abbiamo due Siti di interesse nazionale (Sin) dove le bonifiche non sono mai state effettuate, in totale disponiamo di diciotto aree a forte impatto ambientale per cui possiamo dire che esiste un problema di giustizia ambientale perché purtroppo stiamo pagando oggi le scelte che questa Regione ha fatto negli ultimi 50 anni. Siamo esposti a miscele di inquinanti non solo a Porto Torres e nel Sulcis dove la mortalità e l’incidenza di patologie tumorali, cardiovascolari, degenerative e malformative sono superiori alla media regionale. Se poi si tengono in vita le centrali a carbone, a biomasse, si sostiene l’inceneritore di Tossilo o il progetto di metanizzazione della Sardegna non ne usciamo. Per quanto riguarda i rischi tumorali è evidente che se si seminano sostanze cancerogene, basta aspettare e si raccoglieranno tumori.

In Sardegna ci sono grandi industrie che danno lavoro a migliaia di persone ma allo stesso tempo producono effetti negativi sull’ambiente. Salute e lavoro possono convivere?

Occorre una strategia precisa: far diminuire i malati utilizzando la prevenzione primaria. Significa contrastare una cultura economistica e eliminare le cause delle malattie. E’ improponibile che oggi nel Sulcis, dove i dati dell’Istituto Superiore di Sanità confermano un rischio sanitario importante, si continui a insistere su scelte industriali che hanno una ricaduta sulla salute ampiamente certificata. Tenere in vita questo tipo di industria è una scelta fuori da ogni ragionevole comportamento etico.

Quali dovrebbero essere le priorità della Regione in proposito?

Smetterla di inseguire modelli industriali obsoleti e passare a un’economia sostenibile. La politica oggi non può fare a meno di due strumenti per fermare devastazione ambientale e salvaguardare la salute: prima di tutto un’analisi epidemiologica dei rischi poi, una volta che si hanno i dati, lo step successivo è occuparsi di prevenzione primaria. Dobbiamo abbassare il livello di rischio sanitario dei sardi altrimenti saremo destinati all’autoestinzione. È indispensabile ripensare l’attuale modello di sviluppo e mettere al centro il binomio ambiente-salute.

Metano: sì o no?

E’ un rischio per la Sardegna perché non produrrà effetti nella lotta al riscaldamento globale. L’impatto sarà negativo perché si tratta di una combustione da fonte fossile. La metanizzazione è una scelta obsoleta che si poteva fare 30 anni fa ma che oggi non ha più senso. Insomma, non va demonizzata l’evoluzione tecnologica e industriale né il progresso delle infrastrutture, ma va cambiata l’unità di misura per valutarli: questa non può più essere un Pil che non tenga conto del benessere dell’uomo e dell’ambiente che lo ospita. Sarebbe opportuno e con onestà interrogarsi su quale energia davvero serva ai sardi.

Andrea Deidda

Diventa anche tu sostenitore di SardiniaPost.it

Care lettrici e cari lettori,
Sardinia Post è sempre stato un giornale gratuito. E lo sarà anche in futuro. Non smetteremo di raccontare quello che gli altri non dicono e non scrivono. E lo faremo sempre sette giorni su sette, nella maniera più accurata possibile. Oggi più che mai il vostro supporto è prezioso per garantire un giornalismo di qualità, di inchiesta e di denuncia. Un giornalismo libero da censure.

Per ricevere gli aggiornamenti di Sardiniapost nella tua casella di posta inserisci la tua e-mail nel box qui sotto:

Related Posts
Total
0
Share