Condannato per aver ucciso Dina Dore, gode di un permesso in una comunità

Sta godendo di un permesso in una comunità di reinserimento, l’autore materiale del delitto di Dina Dore, la donna trovata morta nel bagagliaio della sua Fiat Punto, con la figlioletta di otto mesi che dormiva sul seggiolino, il 26 marzo 2008, a Gavoi (Nuoro). Secondo quanto rivela L’Unione Sarda, Pierpaolo Contu, condannato a 16 anni di carcere a Nuoro, è inserito in un percorso che potrebbe portarlo al regime di semilibertà. L’uomo, che oggi ha circa 30 anni ma che all’epoca dei fatti era 17enne, ha già passato otto anni in carcere, mentre il mandante del delitto, il marito di Dina, il dentista, Francesco Rocca, sta scontando l’ergastolo dopo la conferma della pena da parte della Cassazione.

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“Il mio assistito sta nella comunità di Don Borrotzu a Nuoro. Non avendo mai commesso alcuna infrazione nel suo percorso in carcere, ora abita lì per qualche giorno. Si tratta di una prima misura alternativa dopo un programma di recupero rigoroso”. Lo ha confermato all’Ansa l’avvocato, Gian Luigi Mastio difensore di Pierpaolo Contu. “Il giovane sta godendo di un permesso premio come previsto dalla legge – ha spiegato don Pietro Borrotzu – è il secondo beneficio di 3 o 4 giorni di cui sta godendo Pierpaolo, il primo gli è stato concesso qualche mese fa. La misura arriva dopo che il detenuto ha trascorso la metà della pena in condanna: il giovane infatti ha già scontato 8 anni dei 16 a cui è stato condannato. È l’avvio di un percorso rieducativo nel quale può incontrare i familiari, usare il telefono e uscire un’ora la mattina in libertà. Più si va avanti, più i progetti diventano lunghi e minori le restrizioni”, ha concluso il sacerdote.

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I familiari di Dina Dore hanno scoperto che Pierpaolo Contu non era più in carcere da un profilo Facebook poi rimosso. poi rimosso. “Ci è stato segnalato questo profilo Facebook – ha commentato Graziella Dore, sorella della vittima – ma noi non sappiamo nulla di più di questo”. “Purtroppo il nostro sistema penale non prevede la tutela delle vittime del reato avvisandole quando viene disposta la scarcerazione del condannato per quanto per pochi giorni – ha spiegato all’Ansa l’avvocata della famiglia Dore, Anna Maria Busia – È un sistema impostato male perché la scarcerazione di una persona che ha posto in essere un reato così efferato avrebbe invece dovuto essere comunicata alle vittime che sono come sempre invisibili”.

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