“Parcheggiata su una barella del Pronto soccorso” e lasciata lì da mattina a sera, digiuna. È questa la sanità sarda in tempo di Covid-19, sebbene medici, infermieri e oss provino a dannarsi. Ma senza assunzioni e con l’Ats e i manager nominati dalla politica incapaci di organizzare protocolli adeguati alla pandemia, negli ospedali dell’Isola si continuerà a rischiare la morte per malasanità.
Sardinia Post lo scorso 12 gennaio ha raccontato la storia di una 87enne ricoverata a Cagliari per un’operazione al femore. Quella donna all’ospedale è arrivata vigile, poi l’intervento che non sembrava arrivare mai, quindi il coma e il decesso qualche giorno dopo. Era stato il figlio a rendere pubblica la storia, perché non ripetesse quanto accaduto a sua madre. Invece ecco un’altra vergogna, che si conosce sempre grazie a un figlio che ha trovato il coraggio di denunciare.
Per tutelare la privacy delle persone coinvolte in questa storiaccia, non pubblichiamo i nomi. I fatti sono appena accaduti nel Sulcis a una donna di 75 anni. Dopo una prima fila di ore, era tornata a casa. Il giorno seguente, “vista la persistenza dei sintomi”, un nuovo ingresso al Pronto soccorso. A quel punto è scattato il ricovero. L’inizio dello strazio. “Dopo il tampone rapido – racconta Luca, un nome di fantasia -, mia madre è stata lasciata su una barella nel corridoio insieme ad altre persone che ugualmente attendevano l’esito del test Covid”. Luca si indigna: “Viene da pensare che se anche un solo paziente è risultato positivo, con molta probabilità ha contagiato gli altri”.
Quest’assurdità, da sola, grida vendetta. Eppure non è tutto. “Dalla mattina e sino alle 21,30 – continua Luca – mia madre è stata lasciata digiuna. E quando, affamata, ha chiesto qualcosa da mangiare, le hanno portato alcune merendine. A una signora diabetica“, fa notare il figlio. Non è finita, purtroppo. La mattina successiva al ricovero, la famiglia della donna ancora non sapeva l’esito del nuovo tampone, stavolta molecolare, “perché ci risulta che il laboratorio dell’ospedale in cui mia madre è ricoverata ancora nelle condizioni di analizzarli, passato un anno dall’inizio della pandemia”.
Era tardi quando quella signora ha chiamato al figlio. “In lacrime – scrive – e non si augura a nessun figlio sentire piangere la propria madre perché impaurita e abbandonata su una barella, senza comunicazioni sul proprio stato di salute”. Luca, dall’altra parte del filo, ha avuto una sola reazione: sedersi davanti al pc e denunciare cosa sta succedendo in un ospedale del Sulcis. Lui sa di sua madre. Ma chissà quante altre persone vengono “private della propria dignità, senza avere garantito l’accesso a un bagno” e con la sola possibilità di dormire rannicchiati nel corridoio, “sotto lo sguardo degli altri passanti”.
Cosa abbiamo fatto il presidente Christian Solinas, l’assessore alla Sanità, Mario Nieddu e i vertici dell’Ats in questo anno, non è dato saperlo. Sulle assunzioni di nuovo personale non ci circolano numeri ufficiali, veri, certificati. Né tabelle con la progressione dei contratti. Le uniche certezze sono le vergognose odissee a cui sono costretti i pazienti. Quelli che dagli ospedali sardi riescono a uscire vivi.
Al. Car.
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