Il Covid ha ammazzato la sanità sarda: un’anziana ‘dimenticata’ dall’ospedale

Paolo è figlio unico. Paolo – un nome di fantasia – ha 49 anni e una madre ‘dimenticata’ dall’ospedale. È il 29 novembre quando la donna, di 87 anni, cade a casa. Il 17 dicembre, dopo la seconda lastra, si scopre che l’anziana ha una frattura scomposta al femore. Antonia, così la chiamiamo, entra in ospedale “viva”, racconta il figlio. Oggi, quasi un mese dopo il ricovero, è un fagottino su un letto, col sondino per l’alimentazione. “In coma”, continua Paolo. Che solo ieri ha potuto rivederla. Ma la mamma non gli risponde più.

Sardinia Post l’ha ricevuto via WhatsApp la storia di Antonia. Paolo l’ha scritta come fosse un diario. Il diario di un figlio unico. Che adesso la madre può solo accarezzarla. Con la rabbia di chi per un mese ha pregato medici e infermieri di farle vedere la donna, “perché quando si ha una demenza senile, anche solo all’inizio, non si può essere considerati un paziente qualsiasi”. Di certo quella donna avrebbe avuto bisogno di “un’assistenza diversa“.

Il nostro giornale ha deciso di usare nomi di fantasia pe una questione di privacy. Non pubblichiamo nemmeno il nome dell’ospedale nel quale la donna è stata ricoverata, perché in questi casi ci aspettiamo, prima del clamore mediatico, un’indagine interna da parte della struttura sanitaria. Sicuramente sorprende che solo oggi il primario del reparto abbia deciso di permettere a Paolo una visita alla madre.

L’anziana è stata operata solo il 4 gennaio. Significa diciannove giorni dopo il ricovero. Diciannove giorni in cui ha fatto in tempo “a dormire sempre di più e a mangiare sempre di meno“, racconta ancora Paolo. Stavolta al telefono, perché l’abbiamo chiamato dopo aver letto la storia di Antonia. “La mia impressione – dice – è che ci sia una grave carenza organizzativa e non vorrei che l’emergenza sanitaria, cui va prestata la massima attenzione, sia un paravento per nascondere la scarsa volontà di affrontarla, a discapito della assistenza e dell’umanità che si dovrebbe avere nei confronti dei pazienti più anziani e fragili”.

Paolo è’ triste. Tristissimo. “Mi sorprende – continua il suo racconto – il silenzio della dirigenza ospedaliera. Come si può accettare che il principale ospedale di un’area metropolitana operi in condizioni da scenario di guerra? Non vorrei che questa storia – la storia di sua madre – fosse derubricata a polemica: la piena efficienza del sistema sanitario ci riguarda tutti. Riguarda i nostri affetti più cari ed è tanto più importante adesso che stiamo affrontata una emergenza di portata storica”.

Subito dopo il ricovero, Paolo ha fatto a sua madre un tablet. “Inizialmente, aiutati dalla disponibilità di medici, infermieri e oss, comunichiamo due volte al giorno. Una vicina di letto capisce la delicatezza della situazione, anche per via di esperienze lavorative nell’assistenza ad anziani e mi dice che a causa del poco personale i degenti spesso non possono essere seguiti con l’attenzione necessaria“. Paolo continua a raccontare: “I giorni passavano, pochissime volte sono riuscito a parlare con un medico. Ho capito, a distanza, che non tutti i pazienti di Ortopedia sono tenuti nel reparto. Alcuni stanno altrove. Quindi è molto lungo il giro da fare per aggiornare le cartelle cliniche”. Ciò non toglie che nessuno, nemmeno nel pieno di una pandemia, dovrebbe essere lasciato indietro. A maggior ragione se è fragile. Se è più malato di altri.

Paolo dice ancora: “Io lo vedevo ogni giorno, attraverso il tablet, che mia madre era sempre meno reattiva. Assente, con l’espressione sempre più contratta e sofferente. È stata spinta troppo oltre: su di lei sono stati applicati i protocolli e le procedure prevista con la pandemia, ma attraverso tempistiche e modalità incompatibili con una reale possibilità di cura o di beneficio per il paziente. Per questo io chiamavo continuamente i reparti. Qualcuno rispondeva. Pregavo e gridavo loro di fare presto, dicevo loro che non si poteva far aspettare un degente come fosse una valigia in stazione. Infermieri e medici condividevano le mie preoccupazioni, ammettevano apertamente che il trattamento a cui era fuori da ogni criterio il trattamento a cui veniva sottoposta mia madre. Con troppo ritardo mi hanno dato il permesso di rivederla. Sono sempre meno le possibilità che migliori”.

Anche domani Paolo andrà da sua madre. Nell’ospedale che quell’anziana l’ha dimenticata. “Domani mi faranno tornare in reparto per una mezzora, per parlarle e stimolarla”. Paolo sua madre la vuole riportare a casa. La storia di Antonia , che un letto per l’assistenza domiciliare lo ha già, non può finire così. Anche se ha 87 anni.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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