Capolavoro del teatro del Cinquecento, la “Mandragola” di Niccolò Machiavelli sbarca nell’Isola sotto le insegne del CeDAC per la Stagione di Prosa 2013-14 nell’ambito del XXXIV Circuito Teatrale Regionale Sardo nella versione di Jurij Ferrini, apprezzato attore e regista tra i più interessanti della scena contemporanea italiana, che veste anche i panni di Messer Nicia, lo sfortunato e decisamente “sciocco” dottore (in legge) vittima di un’atroce burla.
La pièce – prodotta da Progetto URT (in collaborazione con Corte Ospitale) – dopo il debutto in prima regionale giovedì 13 marzo alle 21 all’Auditorium Comunale di Arzachena, e la replica di venerdì 14 marzo alle 21 al Teatro Civico Oriana Fallaci di Ozieri – sarà in scena sabato 15 marzo alle 21 al Teatro San Bartolomeo di Meana Sardo e infine domenica 16 marzo alle 18.30 al Teatro Electra di Iglesias dove inaugurerà la Stagione di Prosa del CeDAC.
Nella celebre e maliziosa commedia – che narra di amori infelici e caste spose, mariti sciocchi, studenti intraprendenti e frati infedeli, e di un uso quanto meno disinvolto della scienza medica e della religione – l’autore de “Il Principe” propone una feroce satira dei costumi del tempo, tra decadenza morale e crescente corruzione, un male che colpisce tutti gli strati sociali, compreso il clero – o almeno uno dei suoi meno illustri rappresentanti, il compiacente Fra’ Timoteo, che si fa complice della beffa (inevitabile la lunga censura dell’opera, durata fino alla fine dell’Ottocento).
Nel cast, oltre a Jurij Ferrini, che firma anche regia e scenografie (nel ruolo di Messer Nicia Calfucci) – in ordine di apparizione: Luca Cicolella (il servo Siro), Matteo Alì (Callimaco Guadagni – lo studente innamorato), Michele Schiano di Cola (Ligurio, il parassita), Angelo Maria Tronca (Fra’ Timoteo), Alessandra Frabetti (Sostrata) e Cecilia Zingaro (Madonna Lucrezia); i costumi son di Nuvia Valestri, e il disegno luci di Lamberto Pirrone – la pittura scenica originale è stata realizzata da Cris Spadavecchia.
La trama è nota: invaghito della bella Lucrezia, casta sposa di tal Messer Nicia, uomo ricco e non più giovane, e terribilmente ingenuo, lo studente Callimaco cerca con ogni mezzo di giunger fino a colei per protestarle il suo amore; gli vien in aiuto il “parassita” Ligurio, insieme al servo Siro, e prende forma il malizioso piano che fa di Nicia lo strumento stesso della beffa ai suoi danni. Qual rimedio per rendere feconde le nozze, Callimaco in veste di medico propone una pozione di “mandragola”, pianta portentosa ma velenosa, così che si deve far ricorso a un terzo – che sarà poi lo stesso Callimaco, nei panni d’un garzone ubriaco – per fargli assorbire gli effetti mortali.
Messer Nicia acconsente e, tra mille rifiuti, pure la moglie – (mal) consigliata da Fra’ Timoteo e dalla sua stessa madre, Sostrata – si piega per seguire il volere del cielo e dar figli al marito; quel che accade poi risponde meglio di che non potrebbe ai disegni di Callimaco, e il finale si risolve lietamente in commedia, dove ciascuno ha quel che si merita (e che gli piace).
Storia di inganni e seduzioni, la “Mandragola” è costruita secondo un perfetto meccanismo teatrale, in cui si bilanciano tragedia e farsa, le invincibili sofferenze del cuore del giovane Callimaco e la provvidenziale astuzia di Ligurio, pronto a vendere i suoi servigi e a tradire l’antica consuetudine con il padrone di casa per favorire il nuovo pretendente; la bontà della savia Lucrezia, sposata per interesse secondo le regole del tempo ma capace di ragionar con la sua testa e l’imperdonabile ingenuità di Nicia, inconsapevole della sua fortuna e disposto, pur di aver figli, a vincer la gelosia e recar onta al talamo. Intorno figure come Sostrata, madre di Lucrezia che, desiderosa di consigliarla per il meglio, che si fa involontaria complice della burla, quindi quasi mezzana per la figlia (della quale ha del resto approvato le nozze senza amore) e Fra’ Timoteo, uomo di mondo e fin troppo avvezzo ai mali costumi del suo tempo per scandalizzarsi, e la cui vocazione più che alla preghiera è palesemente al guadagno.
Spietato affresco di una civiltà in cui la corruzione dilaga insieme all’amoralità la “Mandragola” di Machiavelli racconta con ironia feroce il malcostume di un’epoca nella quale il confine tra il bene e il male pare confondersi e l’etica e la morale lasciano il posto all’interesse. La satira dello scrittore e filosofo fiorentino non risparmia neppure il clero, e meno che mai la scienza medica, quand’essa venga impiegata per diversi e più immediati e personali fini che non la guarigione dei pazienti. Vince l’astuzia – e l’arguzia – di Callimaco e Ligurio, con l’aiuto del servo Siro e pure Lucrezia potrà prendersi una sua piccola vendetta contro lo stolto marito, che non ha avuto rispetto per lei e la sua casa; ma perfino Messer Nicia, nella sua inarrivabile ingenuità sarà contento e resterà ignaro della beffa. Spettatori e complici, Sostrata e Fra’ Timoteo assistono allo svolgersi degli eventi con la disincantata saggezza di chi conosce il mondo e le debolezze umane, e fanno la loro parte per la riuscita dell’intrigo, secondo il principio che il fine – la riuscita di un matrimonio – giustifichi i mezzi, e poco importa se la morale viene aggirata purché sian salve le apparenze.
L’attualità della “Mandragola” – oltre che nel carattere e nel comportamento dei personaggi, e nella loro attitudine di piegar le leggi morali e reinterpretarle a proprio vantaggio – appartiene alla cronaca; il diffondersi dei test del DNA svela un dato incontrovertibile: i figli hanno spesso un padre diverso da quel che risulta dai documenti, l’infedeltà coniugale è norma da ambo le parti, e davvero i fatti sembrano dar ragione ad Alexandre Dumas (figlio), per il quale «La catena del matrimonio è così pesante che a volte bisogna essere in tre per portarla».