L’avventura dell’architetto sardo: i 4 mori tra i ghiacciai del Karakorum

Paesaggi mozzafiato, viste incredibili e orizzonti sconfinati, illuminati dalla luce trasparente che filtra dai ghiacciai o dalla volta silenziosa delle stelle: Francesco Frascaro, architetto trentatreenne di Scano Montiferro, è appena rientrato da una nuova, incredibile avventura. Dopo aver scalato una delle vette dell’Himalaya nepalese, nell’autunno di due anni fa, oggi ha concluso un altro viaggio estremo: ha attraversato i territori a Nord del Pakistan fino ai ghiacciai del Karakorum, raggiungendo un’altitudine di 5700 metri nel cuore dell’Asia centrale.

Il viaggio è iniziato alcune settimane fa: Frascaro è partito da Cagliari il 31 luglio, ha volato verso Istambul e poi Islamabad, capitale del Pakistan. Con un volo interno ha poi raggiunto Skardu. Qui la comitiva di 18 scalatori in arrivo da tutto il mondo è stata affiancata da un gruppo di guide locali, indispensabili per accompagnare gli stranieri in un territorio dai delicati equilibri interni, e infine da 120 portatori d’alta quota, appartenenti alle etnie locali Baltì e Hunza, specializzate nell’affrontare lunghe e difficili scalate portando tende, viveri e accessori vari per l’accampamento.

“Ho scoperto un mondo selvaggio che vive isolato all’interno di uno sconfinato intreccio di montagne e ghiacciai: il Baltistan, la terra del Karakorum – ci ha raccontato due giorni dopo il rientro. – Per settimane ne ho percorso le lunghe distanze insieme ai miei compagni di viaggio, risalendo la valle del fiume Braldo, lungo il ghiacciaio del Baltoro e superando i pinnacoli granitici delle Torri di Trango, le propaggini della Cattedrale e le nevi del Masherbrum, per arrivare all’immenso anfiteatro glaciale di Concordia, dove la vista spazia nel più ampio complesso di vette e ghiacciai del pianeta. Da qui è stato possibile osservare ad est le pareti scintillanti Gasherbrum IV e gli imponenti contrafforti del Broad Peak, che sorvegliano l’immensa piramide del K2, la grande montagna, che emerge dai ghiacci e si eleva verso il cielo per 8611 metri, dominando ogni cosa”.

Da qui la comitiva ha proseguito a sud, ha superato il ghiacciaio Godwin-Austen fino al ghiacciaio Vigne, delimitato dalle montagne Chogolisa e Baltoro Kangri. Un viaggio di tre settimane circa, a un’altitudine praticamente costante al di sopra dei 4mila metri, con temperature che oscillavano dai 41 gradi di giorno ai meno 20 di notte. Le camminate erano riservate alle ore notturne, per evitare che le temperature calde e il rischio che i ghiacciai si sciogliessero. L’aria era rarefatta, le terre costantemente battute dai monsoni. Tre del gruppo sono tornati indietro per problemi di salute, gli altri quindici sono riusciti a portare a termine la spedizione.

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“Da qui abbiamo scalato tra crepaci e ripidi pendii – prosegue il racconto di Frascaro – oltre le alte vie di roccia e ghiaccio del Gondogoro, oltre i 5600 metri, per scendere nella valle di Hushe, ad ovest, e ricongiungerci con l’antica via della seta. Poi oltre i deserti rocciosi, con un ultimo sguardo sul Nanga Pàrbat, tra le nebbie, lungo la Karakorum Highway. Abbiamo esplorato un orizzonte lontano, respirando l’aria sottile delle sue cime e sognando nelle lunghe notti di stelle e silenzi, il calore del sole al mattino. Abbiamo viaggiato tra il popolo dei Baltì e le tribù degli Hunza, ballando al ritmo di tamburi e cantando melodie senza tempo, scoprendo che le genti del nord accolgono lo straniero come un fratello, stringendolo al petto e tenendogli la mano per non farlo inciampare. Abbiamo avvertito la vertigine della forza della natura nel suo stato più selvaggio e potente, tra paura e conforto, recuperi e speranze, in un’esperienza di vita che supera ogni idea di grandezza”

La comitiva ha seguito le tracce della prima spedizione italiana del 1954 di Walter Bonatti, Lino Lacedelli e Achille Compagnoni ed è infine arrivata alla meta, a 5700 metri di altitudine. “Qui, tra le montagne del Karakorum, ho trovato un’altra occasione per sventagliare con orgoglio la bandiera della Sardegna, la mia terra”.

Francesca Mulas

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