Il dramma che sta vivendo la Sardegna oggi poteva essere evitato, bastava leggere la storia geologica e utilizzare tutti gli strumenti che la legge offre alle istituzioni nazionali, regionali e locali. Chiara Rosnati docente di “Tecniche di valutazione dell’impatto ambientale” alla facoltà di Scienze Forestali e ambientali di Nuoro, consulente di numerose amministrazioni per la valutazione delle opere pubbliche, membro di commissioni nazionali e internazionali per la stessa materia, in merito alla tragedia che ha colpito la Sardegna parla di incuria dell’uomo. Una critica forte, che fa da una duplice veste: quella dell’esperta in materia e quella dell’amministratore, perché per un breve periodo di sei mesi Chiara Rosnati è stata anche assessore all’Ambiente nella giunta del sindaco uscente di Alghero Stefano Lubrano. Un osservatorio privilegiato il suo perché consente di analizzare il problema a fondo, dentro e fuori le istituzioni.
Dottoressa Rosnati, come è potuto succedere un disastro di tali proporzioni in Sardegna?
Prima di tutto bisogna dire che la classe dirigente è poco preparata in materia di pianificazione. Negli uffici, sia regionali che provinciali o comunali lavorano dirigenti, funzionari o geometri che però hanno differenti responsabilità rispetto al problema del monitoraggio e della programmazione nei territori.
Vuole dire che mancano tecnici in materia ambientale?
Non è esattamente così. A volte ci sono professionalità che non vengono valorizzate, in altri casi ancora non vengono preparate. Ogni Comune dovrebbe essere dotato, proprio per queste esigenze, di un Poc (piano operativo comunale). Se lei va nei comuni sardi tutti lo trova. Sicuramente c’è un’aula riunione con il tavolo in radica e i computer ancora avvolti nel cellofan, se si parla di livello operativo però manca tutto.
Qual è la sua visione da amministratrice?
Posso dirle cosa ho trovato quando ho preso l’incarico di assessore al Comune di Alghero: c’erano 10mila euro previsti in bilancio (insufficienti anche eper la benzina), un dirigente e nessun altro dipendente al nostro servizio. Quando pioveva andavo personalmente a liberare i tombini intasati. Appena ho capito che non avrei potuto ottenere nulla di più ho dedotto che non aveva senso continuare e così ho lasciato l’incarico nel gennaio scorso. Ho poi saputo che quei 10mila euro, dall’ultima previsione di bilancio, sono spariti totalmente. Ringrazio Cleopatra per non essere passata ad Alghero in questi giorni”.
E’ un discorso che vale solo a livello comunale?
E’ un tema che va a cascata: dal piano nazionale, a quello regionale, provinciale e comunale. Sembra di vivere in compartimenti stagni. Le istituzioni non dialogano tra di loro, la collaborazione è scarsa: non ci sono vasi comunicanti e non si lavora insieme. Manca la pianificazione. Il monitoraggio delle imprese che appaltano i lavori non esiste. Le parole monitoraggio e collaudo sono due sconosciute. Opere non collaudate o collaudi che arrivano quando sono fattiscenti. Abbiamo due responsabili precisi: la classe politica e quella amministrativa.
E come se non bastasse ci sono le scelte politiche avverse…
Prendiamo la tragedia di Poggio dei Pini e le costruzioni selvagge sull’alveo del fiume. Il simbolo più spaventoso di quella tragedia è stato l’Hidrocontrol, l’edificio dell’agenzia monitoraggio (società poi fallita e assorbita dalla Regione) costruito al centro dell’alveo del fiume. Cioè una struttura finanziata con fondi pubblici che doveva servire a monitorare le situazioni di impatto ambientale. Un paradosso: se siamo arrivati a questo punto vuol dire che ci sono dei colpevoli.
In queste ore si parla di eccezionalità dell’evento, addirittura catalogandolo come evento millennario: è davvero possibile che questo disastro non potesse essere evitato?
Lo studio delle serie storiche per poter prevedere eventi non funziona per due motivi. Il primo: qualcosa sta cambiando e chi si dedica allo studio dei cambiamenti climatici lo sta dicendo da tempo. Secondo: i danni sono strettamente correlati all’uso del territorio. Esiste un terzo punto che si chiama prevenzione: da giorni sappiamo dell’arrivo di Cleopatra. Non possiamo salvare abitazioni, beni, coltivazioni, ma lavorare sull’informazione e su un piano preventivo di salvataggio, quello lo si poteva fare. Ultimo punto: il futuro. Per ridurre gli effetti drammatici in futuro bisogna iniziare ad ascoltare chi fa studi in merito e verifica i rischi (vedi il Piano di assetto idrogeologico), considerando la trasversalità dei piani di gestione: forestale, antiincendio, idraulico, urbanistico etc…
Io non ho una memoria storica millenaria, ma ricordo l’alluvione del 2008 a Capoterra, quella di Villagrande e delle Baronie… E vedo cosa non è stato fatto a distanza di qualche anno. Sono sicura che si poteva operare meglio. Come dice Giovanni Ragaglia, mio studente del corso: “La natura mostra sempre il suo lato peggiore quando viene ignorata. Viviamo in una società economicamente avanzata, ma ecologicamente molto arretrata. Troppo spesso ci si dimentica che è l’ambiente urbano ad essere ospite nell’ambiente naturale e non viceversa. Quello che è successo a Poggio Dei Pini e prima ancora a Villagrande Strisaili e da tante altre parti della Sardegna in questi ultimi anni, non ci ha insegnato niente. Bisogna piantarla di piangerci addosso: i vincoli ci sono perché fanno parte di un piano di assetto idrogeologico. E le aree di costruzione non possono essere definite al centro dell’argine di un fiume.
Maria Giovanna Fossati