“Quando c’era Berlinguer”, il docufilm di Veltroni. A Sassari come a Roma i vecchi si commuovo, i giovani non ricordano

“Era un commissario”. “No, un senatore a vita”. Uno scrittore”. “Era un francese”. “Un cantante!”. Non si può dire che, a trent’anni dalla morte, i giovani italiani e anche sardi abbiamo le idee chiare su Enrico Berlinguer. Le interviste che aprono il documentario di Walter VeltroniQuando c’era Berlinguer” – presentato ieri sera al Verdi di Sassari e il giorno precedente all’Auditorium del Parco della Musica di Roma – suscitano sorrisi amari. E danno a quelli chei trent’anni fa erano coetanei o fratelli maggiori o genitori di quei ragazzi, un’idea precisa non solo di quanto tempo è trascorso, ma di come, per la società italiana, è trascorso male.

Un saggio sulla perdita della memoria collettiva, oltre che un omaggio a uno degli uomini politici più amati del Novecento. Il docufilm di Veltroni prodotto da Sky e Palomar (che debutterà nelle sale il 27 di questo mese e andrà in tv a maggio su Sky Cinema 1 HD a giugno su History HD) piace tanto ai “vecchi”: li commuove, li intenerisce. E li obbliga anche a fare i conti con la loro storia.

A Roma è stato salutato da una standing ovation, a Sassari – la città del leader comunista – da applausi e anche qualche lacrima e nostalgia. Con Gianfranco Ganau, ex sindaco e neoeletto presidente del Consiglio regionale, che si è lasciato andare a un “compagni e compagne”. E ha letto un passo della biografia di Peppino Fiori dedicato agli anni giovanili nella Sassari dei moti per il pane: “Sassari, sera ventosa di mercoledì 12 gennaio 1944. Al numero 4 di vicolo San Sisto, un budello fradicio con odore di cavoli e lardo a spina sul Corso, ha da poco la sede, una stanza spoglia, il movimento giovanile comunista. Nella luce rossiccia d’una lampadina debole, una ventina di ragazzi deirioni popolari-Sant’Apollinare, San Donato, le Conce-ascoltano il segretario, uno studente di ventidue anni prossimo alla laurea in legge, non alto, dimagrito dentro l’abito di sempre, che gli casca largo, le orecchie ad alettoni, i capelli neri corti, a spazzola, la fronte corrugata in faccia liscia: Enrico Berlinguer”.

Nella sala del Verdi strapiena c’era – con l’autore Walter Veltroni e Bianca Berlinguer, oggi direttrice del Tg3 – tutta la città che conta. Così come a Roma l’altra sera c’era tutta l’Italia che conta, a partire dal capo dello Stato Giorgio Napolitano e dal presidente del Senato Pietro Grasso. E poi ministri (Andrea Orlando, Dario Franceschini, Maria Anna Madia, Maria Elena Boschi, Graziano Delrio), leader vecchi e nuovi del Pd (Pierluigi Bersani, Enrico Letta, Rosi Bindi, Guglielmo Epifani, Emanuele Macaluso), della sinistra (Nichi Vendola e Fausto Bertinotti), esponenti del centrodestra (Gianni Letta e Gianfranco Fini), del sindacato (Susanna Camusso). E poi premi Oscar come Paolo Sorrentino e Giuseppe Tornatore. E ancora Giuliano Amato, Fedele Confalonieri. E attori quali Isabella Ferrari, Sergio Castellitto con la moglie Margaret Mazzantini, Gigi Proietti. Il quale, uscendo dal cinema, ha dichiarato all’Ansa: “Una delle parti che mi ha colpito di più è quella in cui alcuni ragazzi oggi a cui viene chiesto nel film chi sia Berlinguer, non lo sanno. Vuol dire che non abbiamo fatto abbastanza per custodire la memoria di questi grandi uomini”. Appunto.

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