Il 25 novembre del 2004 Mario Tomainu, giornalista dell’Agenzia Italia e collaboratore di numerose testate nazionali, andò al carcere di Voghera e fu tra i primi a stringere la mano a Graziano Mesina quando uscì dalla prigione e dall’ergastolo. Pochi giorni prima il presidente della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi aveva firmato la grazia e l’ex primula rossa, allora sessantaduenne, si lasciava alle spalle quarant’anni di prigione (oltre che cinque di latitanza).
Tomainu, anche lui orgolese, amico d’infanzia, scortò il compaesano fino a Orgosolo. Per entrambi fu un viaggio molto emozionante. L’avevano immaginato tante volte negli anni passati quando Mesina cominciò a uscire dalla prigione per qualche licenza trovando spesso ospitalità nella casa milanese di Tomainu. Che ora è sgomento, incredulo: “Sono cascato dalle nuvole, non ci posso ancora credere”, dice amaramente.
Lo immagino. Eppure l’accusa sembra molto solida: ci sono certe intercettazioni…
“Da vecchio cronista di giudiziaria vorrei prima leggere le carte”.
Perché è così incredulo?
“Perché lui contro la droga e gli spacciatori ce l’ha sempre avuta a a morte. Era molto duro con i pentiti che provenivano da quel mondo. Diceva sempre: ‘Questi sono opportunisti buttano in carcere gli innocenti, io piango per conto mio quello che ho fatto e non butto in carcere nessuno”.
Potrebbe aver scoperto che quella è un’attività molto redditizia.
“Ma no, non penso. Graziano nella seconda vita da criminale era entrato nella banda di Turatello, facevano rapine a Brera, il circolo più esclusivo di Milano. Turatello era stato ammazzato proprio perché non aveva voluto saperne di entrare nel mondo della droga. E Graziano al pensava allo stesso modo, in carcere non voleva avere vicino gli spacciatori.
E se leggesse le carte e scoprisse che è tutto vero?
“Non mi meraviglierei nello scoprire che lui, pur di fare un piacere a qualcuno, si è messo nei guai. Questo potrei capirlo, perché conosco la sua personalità. Capirlo, non giustificarlo. Del resto, non l’ho mai giustificato. Ma se invece venisse confermato che era davvero a capo di una grossa organizzazione di narcotraffico, beh, allora devo dire che per me sarebbe una grande delusione”.
Dalle intercettazioni risulterebbe addirittura che progettava un sequestro di persona.
“Graziano mi ha sempre detto che i sequestri sono finiti. Quando ho letto che il progetto era di tenere l’ostaggio per un anno, ho pensato a un errore di interpretazione. Lui è uno sbruffone, dice molte cose che poi non farà mai. Quando nelle intercettazioni dice “lo faccio a pezzi” sta sbruffoneggiando”.
Quando l’ha sentito l’ultima volta?
“Pochi giorni fa, quando è venuto al Festival della storia a Gorizia. Vivo da qualche anno a Trieste e mi ha chiamato per dirmi che sarebbe passato a trovarmi. Invece io proprio in quei giorni ero a Milano per un problema di salute e così non ci siamo potuti vedere”.
Come nacque la vostra amicizia a Orgosolo?
“Negli ovili dei nostri padri nel monte Fumai. Eravamo entrambi i ‘piccoli’ della famiglia, anche se lui aveva tre anni più di me ed era molto più vivace”.
Avete fatto presto a prendere strade diverse.
“Lui ha iniziato prestissimo ad avere guai con la giustizia, è noto. Io invece iniziai a lavorare come operaio di Ottana, ma prestissimo approdai al mondo del giornalismo: lavoravo per l’Unione sarda e sono stato corrispondente dalla Sardegna per l’Ansa, per la Rai, per l’Europeo e per Famiglia Cristiana. Nell’84 sono stato assunto dall’Agenzia Italia a Milano dove ho seguito i più grandi processi per almeno vent’anni: ho iniziato con l’omicidio Ambrosoli, ho fatto l’ultimo processo per terrorismo, Tangentopoli, Turatello, il caso Mondadori e tanti altri”.
Tutto questo mentre l’amico Mesina era in carcere o latitava.
“Esattamente. Ma siamo rimasti sempre in contatto. Quando ha iniziato ad avere le prime licenze per uscire dal carcere veniva a casa miaa Milano. La primissima licenza che ha avuto la ricordo come un incubo perché mi ha messo nei guai”.
Che è successo?
“Ero stato proprio io a insistere con Davigo e con Di Maggio (i pm dell’inchiesta sulla banda Turatello, ndr) per fargli avere il permesso. Glielo diedero di un solo giorno, lui lo voleva di tre. E così, anziché rientrare in carcere, se n’è scappato con Valeria Fusè, la sua ragazza dell’epoca. una che mai ho potuto sopportare,: avrebbe dovuto dissuaderlo dalla fuga Il fatto è che ero stato io a garantire per lui”.
Bello scherzo. Eppure avete continuato a essere amici.
“Ha una grande personalità. Ha avuto una vita avventurosa, fatta anche di incontri con grandi personaggi. Certo, lo devi prendere per quello che è. Se vuoi avere a che fare con una persona dalla fedina penale immacolata, devi andare da qualche altra parte”.
Ci racconta l’amicizia di Mesina con Montanelli?
“Anche Montanelli ne subiva il fascino. S’incontrarono ad Asti nel 1990, quando Graziano era in libertà vigilata. Era stato Montanelli a volerlo incontrare, lo so perché un suo collaboratore chiese proprio a me di fare da tramite. L’incontro avvenne in una villa sottoposta a sequestro giudiziario la cui custodia era stata affidata a un sardo di Fonni. Pranzarono assieme, anche con Marco Travaglio che aveva accompagnato Montanelli all’incontro. Io non partecipai, ma resi pubblica la notizia con un lancio d’agenzia. Montanelli si risentì perché voleva che l’incontro restasse riservato, poi facemmo la pace. Qualche giorno dopo pubblico su ‘La Voce’, che allora dirigeva, una lunga intervista a Mesina”.
Montanelli non è stato che uno dei tanti conoscenti illustri di Mesina…
“Certamente se non fosse stato appunto per l’intervento di un grosso uomo politico nazionale e di un rappresentante del clero molto in alto in Sardegna, Mesina non sarebbe entrato nel caso di Farouk Kassam. La cosa doveva rimanere segreta, ma il padre del ragazzino non è stato ai patti e ha spifferato tutto. Mesina ha spesso pagato caro la sua disponibilità”.
Lei non fa i nomi, ma risulta che si tratti di Francesco Cossiga e di monsignor Meloni, che allora era il vescovo della Gallura…
“Credo sia così”.
Poi i rapporti con Cossiga sono andati avanti…
“Sì, risulta anche a me. Una volta a Milano stavamo per andare a pranzo con Giannino Guiso e un altro amico, quando gli arrivò una telefonata e dovetti accompagnarlo subito alla stazione. Era Cossiga che lo attendeva a Roma”.
Pensa che l’immagine di Orgosolo subirà un nuovo colpo da questa vicenda?
“Orgosolo ha un marchio dal quale non si esce in qualsiasi lingua si gridi. Ma sono sicuro che non ci sarà alcun danno. Cinicamente: la propaganda è sempre propaganda, in positivo o in negativo. La gente continuerà a essere attratta dal paese, a visitarlo”.
Maria Giovanna Fossati