Il presidente della rete sarda del diabete: “Puntiamo sulla prevenzione, fondamentali alimentazione ed esercizio fisico”

Una storia di diabete, per comprendere la reazione emotiva di chi da un giorno all’altro, ed in giovanissima età, scopre che la sua vita cambia. Sia chiaro, non cambiano gli obiettivi, le speranze, la voglia di costruire una vita. A modificarsi sono le abitudini e si entra nell’ordine di idee di dover seguire uno stile di vita diverso. Quello stesso stile che potrebbe evitare a tutti di ricevere una diagnosi simile, quella di diabete di tipo 2. Riccardo Trentin è il presidente della Rete sarda del diabete, una organizzazione che ha messo insieme quasi tutte le realtà associative che si occupano di questa malattia. La sua storia è uguale a tantissime altre in Sardegna, la regione italiana con il più alto numero di nuovi casi di diabete di tipo 1, superata nel mondo solo dalla Finlandia. 

Quando hai scoperto di avere il diabete?

A 15 anni, con una normale visita medico sportiva. Una sensazione strana mi accompagnava da qualche tempo. Era da poco trascorso il mio compleanno e fino a quel momento non c’era nulla di insolito. Ricordo solo che ero molto stanco ed avevo sempre molta sete. Il medico sportivo vide i test e le analisi delle urine. C’erano tracce di zuccheri, mi disse: “glicosuria”, devi fare qualche test”. “Glicemia, glicosuria, insulina dipendente, diabete”, elencò in modo molto tecnico e professionale. Un’insolita caramella di troppo fu proposta come causa da un’infermiera, ma quelle parole del medico echeggiavano nella mia mente senza fine.

Quel momento della diagnosi poteva essere gestito meglio? Intendo, in maniera meno tecnica e più attenta agli aspetti psicologici.

Gli operatori sanitari spesso trascurano le nostre emozioni, preferendo concentrarsi solo sulla diagnosi e sul trattamento. Tuttavia, il conforto e l’empatia sono essenziali in un momento così delicato. Io cercavo di capire cosa stesse accadendo. Chiesi ripetutamente spiegazioni, ma le risposte che ricevevo erano fuori dalla mia comprensione. Non mi era chiaro cosa avrei dovuto fare e cosa mi aspettasse, volevo solo riprendere subito i miei allenamenti e le gare di atletica.

A 15 anni è normale pensare solo ad un qualcosa di momentaneo

La paura però si faceva sempre più vicina, rendendo ogni istante un distacco dalla mia vita precedente. La fragilità di fronte a una diagnosi di diabete tipo 1 è inevitabile. La sicurezza apparente della nostra invulnerabilità svanisce, lasciando spazio al timore e alla solitudine. La relazione tra paziente e operatore sanitario è un’opportunità preziosa per fornire informazioni rassicuranti ed empatiche. Senza una connessione emotiva, la disperazione può prendere il sopravvento. È fondamentale riconoscere e affrontare le vulnerabilità emotive delle persone con il diabete integrando il supporto psicologico nel trattamento medico. Solo così si può sperare di garantire una migliore prevenzione e adesione alla cura.

Il diabete di tipo 1 insorge molto presto, in giovane età, il diabete di tipo 2 invece arriva in età adulta.

Il diabete tipo 2 è una malattia molto conosciuta nel nome me poco nella sostanza, spesso se ne parla ma molto più raramente si affronta il tema su come prevenirlo. Delle persone che hanno il diabete in Italia 9 su 10 hanno il diabete di tipo 2. Si stima che siano circa 4 milioni le persone con diabete nella nostra penisola e circa il 5,9% della popolazione ne è affetta. La Sardegna non è da meno con oltre 120 mila pazienti e con una maggiore prevalenza come nel Sulcis Iglesiente che ha valori prossimi all’8%.

Ma il diabete di tipo 2 si può prevenire?

Sì.

Ma perché ci si ammala?

Per scelte culturali inconsapevoli. Kant, nella sua riflessione filosofica parlava di “opposti reali” come di due forze contrapposte piacere-dolore che operano in modo continuativo sulla persona e sulla società, un vero dualismo. Proprio come accade tra prevenzione-cura la questione e la medesima sono due dinamiche socioculturali che si contrappongono costantemente. Attualmente in questa fase prevale la cura a discapito della prevenzione ed è per questo motivo che si parla di “pandemia di diabete di tipo 2”, le diagnosi son in crescita in continuo aumento e senza sosta. Per favorire la prevenzione dovremmo recuperare l’educazione ai corretti stili alimentari e riprendere il concetto di educazione fisica.

Una prevenzione che prende spunto semplicemente dagli stili di vita?

Educazione fisica e educazione alimentare sono due bellissime espressioni se le si intende legate alla vera origine etimologica di Educazione ovvero quando si indica quell’azione o serie di azioni che creano opportunità e facilitino l’apprendimento e che operi per ogni persona in modo che possa crescere e trasformarsi. Purtroppo, nell’accezione attuale impiegata in ambito sanitario diviene sinonimo di addestramento come delle azioni mirate a modificare un comportamento con un modello imposto dall’esterno.

Quindi educazione è la chiave di volta?

Sì. Recuperare l’idea di educazione fisica e educazione alimentare attraverso un coinvolgimento attivo delle persone e che veda coinvolta la scuola come agenzia educativa ed in primis la famiglia. Ritengo che questa sia la strada da percorrere per prevenire il diabete di tipo 2.

Ma ritornando alla tua storia, quel ragazzo di 15 anni ora ne ha 53 e immagino non abbia mai smesso di fare sport

Negli anni in cui ho avuto la diagnosi alle persone con diabete di tipo 1 era proibito fare agonismo e son stato costretto a fare sport solo a livello amatoriale. Oggi è cambiato tutto grazie alla legge 115 del 1987 che ha definito il diabete come malattia di elevato interesse sociale, ponendo obiettivi quali la prevenzione e la diagnosi precoce, che andrebbe riproposta e aggiornata su alcuni aspetti importanti. Ad oggi pratico costantemente esercizio fisico prevalentemente aerobico, alleno ed insegno nella società sportiva “educazione fisica” e cerco di alimentarmi in modo equilibrato. Non sono diventato un campione dell’atletica leggera ma mi piace altrettanto la prospettiva di riuscire a supportare e sostenere le persone con diabete e dare consigli utili per migliorare la loro qualità di vita.

Massimo Sechi

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