A tu per tu con Giordano, alle prese con una “Sonatina” molto raffinata

Si chiama “Sonatina op.1 e Sei fantasie”, l’ultimo lavoro del musicista nuorese Battista Giordano. Si tratta di un’opera raffinata, che conquista l’ascoltatore con una compenetrazione di suggestioni e contaminazioni musicali che sembrano non avere confini nel tempo. Realizzato con la collaborazione di due importanti interpreti, Carlos Garfias al violino e Claudio Costantini al piano, si pone come una tappa interessante nel percorso artistico di Giordano, che ha alle sue spalle una serie di progetti originali: dalla partitura “Adelasia”, all’affascinante “Isolanos” (scritto con Omar Sosa), fino alle musiche per balletti eseguiti al Teatro alla Scala.  Per capire meglio il senso di “Sonatina”, gliene chiediamo la genesi.

“Il progetto mi era stato commissionato da una pianista russa nel 2011, ma, dopo sei mesi, è naufragato, perché lei non riusciva a rapportarsi con la musica da me composta, per motivi ancora poco chiari. Sta di fatto che la devo ringraziare, infatti tutto ciò ha contribuito a completare al meglio il mio lavoro. In seguito, mi sono messo in contatto con Claudio Costantini ,un musicista peruviano di enorme talento, che, in quel periodo, si trovava, in Europa; attraverso la mediazione della madre, anche lei musicista, abbiamo intrapreso la collaborazione la quale ha portato alla registrazione del disco insieme all’ottimo Carlos Garfias al violino.”

In “Sonatina” abbiamo una complessa matrice stilistica.

“Si tratta prevalentemente di quella che si può definire “musica colta”; quest’ultima, però, inferisce con una serie di suggestioni assai diverse: il barocco, il novecento melodico e quello sperimentale, ed è pure presente qualche influsso etnico. Certo, la sonatina segue la sua struttura tipica, ma soprattutto le “fantasie” variano sensibilmente.”

Quale è il pubblico a cui ha pensato nel comporre “Sonatina”?

“Ahimè, si tratta, con tutta probabilità, di un pubblico già educato a un certo tipo di suoni. Lo affermo senza snobismi; semplicemente è una musica che non ruffianeggia con l’ascoltatore, non rende, con piccoli stratagemmi, banale la comprensione, questo non significa che sia elitaria, semplicemente si pone dentro un genere non definibile come commerciale.”

Lei è un cinefilo e recentemente ha anche realizzato con il quartetto “Karel”, un progetto musicale pensato come omaggio a Ettore Scola. Non ha mai avuto il desiderio di comporre musica per film, data anche la attuale vivacità del cinema sardo?

“Mi piacerebbe tantissimo, anche perché ho lavorato per il teatro e per il balletto con grande soddisfazione, riuscendo a entrare in sintonia sia con il coreografo sia con il regista. Potrei, dunque, avere la sensibilità adeguata per comporre per il cinema, dove è essenziale la collaborazione tra arti anche assai diverse”.

 Elisabetta Randaccio

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