Sono la madre di una ragazza di 32 anni che tre anni fa si è sposata dopo una convivenza di quattro anni. Sino a tre mesi fa sembrava che tutto sorridesse a mia figlia: un marito col quale aveva un ottimo feeling, un lavoro abbastanza tranquillo per entrambi, viaggi vacanze periodiche compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, interessi in comune ed il progetto di un figlio rimandato nel tempo per dare spazio a percorsi di crescita personale.
All’improvviso lo tsunami: un pomeriggio mi viene a confessare di non essere più innamorata del marito, di volergli un gran bene ma di non amarlo più come una moglie dovrebbe amare il proprio marito, pur comunque riconoscendone il grande valore ed avendo per lui il massimo apprezzamento.
Dopo il primo momento di chock, ho cercato di spiegarle che tutte le unioni, siano coniugali o meno, attraversano crisi più o meno profonde e che comunque vale sempre la pena di prendersi un po’ di tempo per capire se dalle nuove basi possa essere ricostruito qualcosa di altrettanto valido anche se diverso, stante il fatto che a mio parere è inevitabile che il sentimento nel tempo possa trasformarsi ma non per questo non possa essere altrettanto importante.
La chiave di lettura data da me, che non sono certamente un tecnico, è che mia figlia abbia attraversato un momento di particolare fragilità, nonostante all’apparenza sia una persona forte e determinata, (si sa comunque che anche queste persone possono vivere certi momenti in quanto nessuno di noi è un robot) e che in quel momento forse qualcuno sia riuscito a far battere il suo cuore, fino ad allora tenuto a bada dalla routine quotidiana. E che forse il marito non abbia colto quel suo malessere. Si sa bene che gli uomini, per quanto possano essere in gamba, hanno una sensibilità differente da quella delle donne e purtroppo nei matrimoni spesso si dà per scontato ciò che invece andrebbe alimentato giorno per giorno.
Anche il marito dal canto suo, per il quale invece nulla è cambiato, ha provato in tutti i modi a chiedere di riprovare, sebbene con altri presupposti, ma il risultato è stato che mia figlia è andata via di casa portandosi appresso tutti i suoi effetti personali, non lasciando peraltro neanche il suo nuovo indirizzo nonostante non ci siano stati scontri.
Un particolare: quindici giorni prima della sua partenza lei ha proposto al marito di andare a prendere una pizza e durante la serata tutto pareva essere tornato indietro nel tempo, con le affettuosità che le erano solite e con la loro solita magia, tanto che al rientro a casa il marito ha pensato che tutto potesse ricomporsi ma ad un suo avvicinamento più stretto è seguito un rifiuto di mia figlia e un nuovo allontanamento, questa volta definitivo.
E’ necessario che Lei sappia che mia figlia ha nel frattempo interrotto anche i rapporti sia con me che col resto della famiglia (amici compresi) che con la famiglia del marito dalla quale è sempre stata adorata e che, anche in questa dolorosa occasione, è rimasta al proprio posto con la massima discrezione. Ritengo opportuno precisare, comunque, che tutte le motivazioni addotte da mia figlia suonano quantomeno pretestuose come il voler fare le cose che le sono state impedite quando aveva vent’anni: cosa non rispondente assolutamente al vero come tutti coloro che ci conoscono e ci hanno frequentato in tutti questi anni possono testimoniare. Ha fatto terra bruciata attorno a sé anche con gli amici di famiglia con i quali ha sempre avuto un ottimo rapporto prendendoli spesso e volentieri come punto di riferimento.
Oggi io quindi mi ritrovo a dovermi gestire ben due dolori: uno per la perdita dell’unica mia figlia e l’altro nel vedere la maschera di dolore di mio genero che per me è stato e sarà sempre come un figlio perché a mio parere a mia figlia non sarebbe potuto capitare un uomo migliore (e ciò l’ha dimostrato anche in questa circostanza).
(lettera firmata)
Cara signora, è interessante che scriva lei e non sua figlia che probabilmente non sente questa fase della sua vita problematica ma fortemente vitale. Talvolta capita che gli occhi di una madre vedano tranquillità e benessere dove regna la noia o, peggio, dove le persone hanno per anni “obbedito” implicitamente a ordini relazionali che per altri erano la vita lineare e la stabilità.
Spesso le “ovvietà” nascondono molta violenza e la nostra vita è costellata di queste ovvietà: è ovvio che devi studiare; è ovvio che devi innamorarti; è ovvio che questo deve essere un bravo ragazzo; è ovvio che devi lavorare; è ovvio che devi sposarti; è ovvio che devi avere dei figli; è ovvio … quanti doveri e quante ovvietà e quanti pochi spazi per far emergere desideri e attitudini. Molti, la maggioranza, vivono tranquilli in queste ovvietà e sentono che la loro vita, in queste, si realizza. Ma per altri non sono che le sbarre di una gabbia invisibile che lentamente si erige fra i propri desideri, le proprie aspirazioni e il mondo dei “sarebbe bello … mi piacerebbe … nella prossima vita …” e che pian piano stringe il suo perimetro e ti soffoca.
Non escludo che sua figlia abbia, in un momento della sua vita in cui si accingeva a fare un passo veramente irreversibile per la sua vita (avere un figlio e diventare madre), sentito che viveva una vita che non aveva fino in fondo scelto e che non le piaceva, che andava cambiata radicalmente e le ovvietà buttate via lontano. In questo sua figlia mostra davvero quel carattere forte e sicuro a cui accenna: spesso altri in situazioni così complesse scelgono la strada della malattia, della depressione e continuano a vivere una vita che non amano e che non hanno scelto.
Lei, il marito di sua figlia, probabilmente la sua e la famiglia di lei sono ora come le sirene di Ulisse che mandano il loro richiamo affettivo e cercano di riportare sua figlia nella “retta via” che voi avete pensato per lei. Probabilmente sua figlia, per non sentire questi richiami che le pongono dubbi, la fanno comunque soffrire, ha preso la drastica decisione di rompere i contatti con tutti per avere il silenzio necessario e decidere per sé e per la sua vita.
Non so se questo sia accaduto per un improvviso innamoramento verso una persona o verso un’idea, uno stile di vita desiderato o altro ,non so nemmeno se questi atti sono scaturiti da una riflessione o per un improvviso insight, ma credo che il bene di sua figlia sia ora lasciare che vada per la sua strada (e d’altra parte stiamo parlando di una trentaduenne senza prole …) che sperimenti ciò che desidera.
So che per lei è doloroso ma mi chiedo : di fronte alle scelte di un figlio maturo e consapevole una madre cosa deve fare? Credo che debba ri-guadagnare il suo ruolo di “dea protettrice” più che di controllore etico, debba cercare di vedere con gli occhi della propria figlia e cercare di sognare i suoi sogni per comprenderli, se riesce, gioire delle sue gioie: d’altra parte voler bene significa volere il “bene dell’altro” secondo il suo giudizio non secondo il volere altrui. Se non ha altre informazioni per cui sua figlia è stata soggiogata contro la sua volontà ma ha la sicurezza che stia agendo secondo libera coscienza le consiglio vivamente di lasciare che sua figlia scelga; le mandi messaggi di complicità e comprensione e vedrà che sarà lei a riavvicinarsi e a spiegare meglio, se lo riterrà opportuno, le sue decisioni.
Suo genero stia sicura, dopo un periodo di giusto lutto ritroverà il sorriso e la voglia di vivere, magari di ri-trovare un amore che soddisfi i suoi di desideri e sogni. Le stia vicino come deve fare una suocera e non si senta in colpa assumendo in parte il ruolo di sua figlia: se lei ha una “colpa” è quella di aver messo al mondo una donna capace di guidare la propria vita e di scegliere ciò che è bene per lei.
Antonello Soriga
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(Antonello Soriga, psicologo e psicoterapeuta ad indirizzo sistemico relazionale, svolge attività clinica in regime di libera professione a Cagliari. E’ stato professore a contratto presso la facoltà di Scienze della Formazione di Cagliari e più volte membro della Commissione esami di Stato alla professione di Psicologo. Dal 2009 è Giudice Onorario presso il Tribunale per i Minorenni di Cagliari. Presiede il Centro di psicologia sistemica di Cagliari ed è responsabile scientifico dell’Associazione Sardegna Bielorussia. Tra le sue opere “L’altalena di Chernobyl”, Armando Editore, e alcune pubblicazioni accademiche).