La cagliaritana più amata a New York. Valeria Mocci, la creativa delle vetrine

Cinquantaquattro anni, un curriculum robusto e nessun timore del jet-lag. Inarrestabile e sempre col sorriso, Valeria Mocci è una impossibile da incasellare attraverso una sola definizione. Lei è molte cose insieme. Sarda e cosmopolita, costantemente in viaggio tra New York e Cagliari. Di professione fa la scenografa, la vetrinista e la visual designer (esperta nell’applicazione della grafica alla comunicazione). Di certo la creatività è la sua ragion d’essere. Nella “città che non dorme mai” il talento della Mocci è richiestissimo e noto. Quasi una predisposizione ereditaria per la moda e l’estetica.

“È iniziato tutto qui a Cagliari, quando mia madre aveva le sue boutique, una in via Paoli e una in via Baylle, per cui sin da ragazzina ho sempre ‘bazzicato’ nell’ambiente e amavo stare in negozio”. Nostalgica racconta: “A giocare con le vetrine ho cominciato lì, Uscivo da scuola e correvo in negozio per aiutare mia madre. Da generazioni ci trasmettiamo questa tradizione di moda e sartoria: mia nonna cuciva e realizzava abiti, mia madre ha scelto quella stessa strada e così io e mia sorella. In casa si è sempre respirata quest’aria di creatività”.

A tredici anni, realizza il suo primo allestimento, sempre nel negozio della madre, scegliendo un tema marinaro e vincendo un premio per la miglior vetrina della zona commerciale di via Paoli. Un episodio che l’avvicinerà sempre di più a quell’ambiente e la convincerà ad iscriversi al liceo artistico e, successivamente, all’accademia delle Nuove arti di Milano dove – nel frattempo- si era trasferita con la famiglia. In quel periodo segue i corsi tenuti da Tito Varisco, storico scenografo del Teatro alla Scala e coltiva il sogno di lavorare in teatro.

“Nonostante tutto ho proseguito con il lavoro in negozio e credo, tutt’ora fermamente, che la vetrina sia il mezzo di comunicazione esterno con i clienti, è un’attrattiva che permette di sviluppare un proprio stile creativo. Non ho mai smesso di farlo neppure mentre studiavo. Nel mio cervello si mettono in moto una serie di meccanismi che studiano gli spazi e creano nuove disposizioni, sia esterne che interne: vedo, valuto, immagino e invento. Sentendo il campo della moda più vicino a me ho continuato a frequentare quel mondo, lavorando con la mia famiglia negli showroom che avevamo a Milano. Essendo grossi spazi e vetrine immense, mi sono ritrovata catapultata nella professione a tempo pieno.”

La voglia di scoprire nuovi mondi la conduce a New York a ventisei anni. Partita con l’appoggio e il sostegno dei genitori, Valeria Mocci vola negli Stati Uniti alla ricerca di uno spazio più grande per espandere l’attività di famiglia.
“Volevamo ampliarci, ma i piani sono cambiati nel momento in cui è arrivata la crisi. Ero lì già da sei mesi e nel frattempo mi ero adattata a questa nuova situazione. Quando i miei mi hanno chiesto se volessi tornare non ho titubato un attimo, volevo restare lì e scoprire cosa potessi fare da sola”.

Lo stile di vita newyorkese attrae la giovane creativa che si ambienta facilmente alla routine scandita e precisa della metropoli americana, agli stimoli che arricchiscono un’esistenza frenetica contrapposta ai ritmi più lenti, riflessivi e conviviali a cui era abituata in Italia. Determinata e caparbia, si presenta ad un colloquio con la Benetton che aveva appena aperto un negozio sulla scintillante Fifth avenue. “Cercavano un visual manager e qualcuno che sapesse anche parlare italiano (visto che gli uffici di riferimento erano in Veneto). Avevo tutti i requisiti per partecipare e ho deciso di lanciarmi in quell’avventura. Ho mostrato loro il mio portfolio, è piaciuto molto e ho iniziato subito”.

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La scalata è avvincente. “C’erano una quarantina di negozi in quel periodo, ho creato un team e mi sono messa all’opera realizzando diversi progetti in un contesto per me del tutto estraneo. È stato un impatto molto duro, non avevo mai lavorato al di fuori dell’ambiente familiare, gli uffici non erano ancora molto organizzati e gli impegni mi oberavano. Mi hanno dato carta bianca, si sono fidati di me e sono cresciuta molto. Sono rimasta quattro anni e mi sento felice di aver dato il mio contributo alla crescita dell’azienda negli Stati Uniti.”

Il sogno sembra prendere forma e incoraggia Valeria a muoversi verso altri lidi. “Eletta New York come la mia città, dopo quell’esperienza avevo deciso di rimanere in pianta stabile, ma sentivo la necessità di esplorare e superare i miei limiti. Ho avuto l’opportunità di lavorare con la maison Versace, altri quattro anni, come direttore creativo. Allestire le loro vetrine e gli interni è quasi come curare un museo, ogni pezzo sembra un’opera d’arte, una scultura”. Le responsabilità aumentano, allo stesso tempo le numerose mansioni e le richieste più esigenti diventano uno stimolo e una sfida avvincenti, sino al giorno in cui viene notata dalla direttrice immagine di Cartier. “Il loro negozio – continua la Mocci – era sempre sulla Quinta strada, accanto a Versace. La manager passava sempre davanti alla vetrina e si chiedeva chi se ne stesse occupando. Le piaceva moltissimo e voleva una persona con quel genere di idee nel suo team, così mi ha mandata a chiamare. Ci siamo parlate per un bel po’, ho accettato di fare un colloquio con lei e mi ha detto che avevano un estremo bisogno di aiuto perché in quel periodo prendevano ancora direttive dagli uffici parigini, quindi le vetrine erano statiche e cambiavano solo due volte l’anno.”

Le difficoltà e i dubbi dovuti ad un nuovo settore, quello della gioielleria, non frenano gli entusiasmi di Valeria che accetta di occuparsi, come primo incarico, dell’allestimento natalizio. “Ho dovuto reinventarmi completamente e adottare uno stile diverso. Appena arrivata mi è stato messo sul tavolo il progetto di Natale, per il quale si comincia a lavorare addirittura quasi un anno prima. Con Cartier ho realizzato uno dei miei lavori più belli e conosciuti, il fiocco rosso che scende e abbraccia l’edificio. Mi sono anche occupata di organizzare gli eventi, gli interni, le installazioni e numerose iniziative”.

Dopo un anno e mezzo, l’ennesimo giro di valzer. Alla creativa di Cagliari arriva voce che Giorgio Armani sta cercando un nuovo direttore per gli uffici di New York. “Sono andata immediatamente a fare il colloquio e mi hanno offerto il lavoro praticamente sulla fiducia. Avevo capito che ormai ero riuscita a farmi un nome e un curriculum degni di nota. Devo dire che quell’incarico è stato forse uno di quelli a cui sono più legata: sono rimasta dieci anni nell’azienda e il signor Armani, un grandissimo esteta, mi ha insegnato cosa vuol dire fare branding e marketing’. Mi sono appassionata alla grafica, ho fatto dei corsi e adesso sono perfettamente in grado di gestire tutti i software appositi. Ho creato il mio sito Internet, il logo. Prima disegnavo esclusivamente a mano, anche se continuo a farlo ancora: mi diverte e piace molto”.

La Mocci lascia Armani spinta dal desiderio inesauribile di cambiamento, di fuga dalla routine. “Dovevo evolvermi, rompere gli schemi e uscire dalla comfort zone. Quindi dopo Armani ho lavorato per Elie Tahari, lo stilista israeliano che negli anni Settanta ha inventato il ‘tube top‘ diventando un icona di stile con un capo di ampio uso e consumo. Mi aveva chiamata perché aveva bisogno di rinnovarsi e gli ho dato una mano ben volentieri”. Poi Estée Lauder e Coty: Valeria Mocci intraprende un percorso di enorme crescita, sondando tutti i settori della moda: abiti, haute couture, scarpe, gioielli, cosmetica.

Ma cosa è rimasto di quella ragazza partita dall’Italia oltre venticinque anni fa? “Una parte di me è a New York. Conosco molti italiani che non ce l’hanno fatta o sono partiti con la ferma intenzione di tornare qui dopo qualche anno. Io ancora oggi posso dire che, sì, mi piacerebbe rientrare in Italia in pianta stabile un giorno e costruire qualcosa di mio. D’altra parte, dopo tutto questo tempo, la mia vita è in America. Vivo una sorta di dilemma interiore: quando sono in un posto mi manca l’altro, ma in entrambe le circostanze si tratta sempre di casa.”

Due mondi agli antipodi abitano l’animo di Valeria che, a dispetto di tutto, continua a coltivare aspirazioni e sogni anche per un suo eventuale ritorno a Cagliari, città alla quale dedica progetti e visioni innovative. “Con mia madre abbiamo aperto qui in via Garibaldi Mo+Co, un concept store. Abbiamo abbinato il negozio al dettaglio con la sartoria per realizzare capi unici. Inoltre lo spazio sarà in continua mutazione, dovrà cambiare sempre”. Una costante nella vita della dinamica Valeria che vorrebbe offrire un’opportunità anche agli artisti locali
“La mia idea è di intraprendere una collaborazione e gestire uno spazio che possa adattarsi anche alle loro opere.
Organizzeremo delle serate a tema con allestimenti dei pezzi artistici che faranno da scena e percorso all’interno del negozio.”

E ancora: “Alterneremo la formazione anche serate che abbiamo come motivo conduttore il viaggio, trascinando i clienti in giro per il mondo semplicemente attraverso l’allestimento del negozio. Abbiamo già fatto la serata cubana, con un evento chiassoso che ha riscosso ottimi risultati. E poi degustazioni, eventi, letture: voglio che sia un luogo dove le persone possano trattenersi, passare del tempo di qualità e nel frattempo fare acquisti. Sono proiettata verso il futuro e vorremmo trasferirci in uno spazio più grande per ampliare le iniziative. Immagino un negozio che sia un po’ teatro, un po’ galleria d’arte e sempre in movimento, seguendo l’eterogeneità del mondo e le strabilianti varietà di cui è composto”.

Martina Serusi

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