Regionali: i sardi sceglieranno chi li governerà tra Truzzu e Todde (che rischia per l’effetto Soru)

di Andrea Tramonte

I palazzi romani guardano alla Sardegna con preoccupazione. Domenica ci sono le Regionali e nonostante le smentite di rito – che servono anche a esorcizzare il timore del ‘post’ – le elezioni potrebbero avere delle conseguenze a livello nazionale. Perché anche se il 25 febbraio andremo al voto per scegliere il governo della Regione – ed è questa la ragione più importante, se non l’unica -, la partita “locale” si è intrecciata inevitabilmente a dinamiche politiche interne ai vari schieramenti. Rendendo queste elezioni anche “altro”. E dopo lunedì, in un modo o nell’altro, potrebbero esserci dei contraccolpi. 

Il centrodestra si è presentato unito sul palco alla chiusura della campagna elettorale per Paolo Truzzu. Non era mai successo che prendessero la parola tutti; non solo la presidente del Consiglio, Giorgia Meloni, e i vicepremier, Matteo Salvini e Antonio Tajani, ma anche i “piccoli”: Maurizio Lupi (Noi Moderati), Lorenzo Cesa (Udc), Gianfranco Rotondi (Democrazia cristiana). Insieme a loro anche le forze locali: i Riformatori con Michele Cossa, Alleanza Sardegna con Mimmo Solinas, Sardegna al centro Venti20 con Stefano Tunis, perfino il Psd’Az con Christian Solinas. Tutti a rivendicare l’unità, a ostentare compattezza, ad attaccare “la sinistra” e “i giornaloni” che raccontano divisioni a loro dire inesistenti. Ma le divisioni ci sono state eccome, e ci sono ancora. Il percorso che ha portato all’indicazione del sindaco di Cagliari come candidato del centrodestra alle Regionali è stato nervoso e problematico, con lo scontro tra Lega e Psd’Az da una parte e Fratelli d’Italia dall’altra, il vicesegretario del Carroccio Andrea Crippa mandato avanti da Salvini a fare da testa d’ariete, veline diffuse ad arte ai giornali su ipotetiche corse solitarie dei “padani” e una tensione palpabile arrivata quasi al livello di allerta massima (tanto che il direttore de Il Giornale, Alessandro Sallusti, aveva messo in guardia il centrodestra sul rischio di incrinare l’unità a causa delle elezioni sarde). Il tema – per dirla in estrema sintesi – è che Fratelli d’Italia domina la coalizione, la Lega non ha le percentuali per dare le carte ed è costretta a ingoiare il rospo in numerose occasioni. Salvini in questi mesi si gioca molto: il 34 per cento delle scorse Europee è solo un lontano ricordo e un risultato sotto il 10 per cento (ora è accreditato intorno all’8) potrebbe minare la sua leadership. Specie se la battaglia per il terzo mandato per i presidenti di Regione dovesse, come sembra chiaro, infrangersi: nel 2025 il governatore del Veneto, Luca Zaia, potrebbe essere alla ricerca di un lavoro e ha le carte in regola per prendersi la leadership della Lega. Salvini in queste settimane si è speso molto in campagna elettorale e venerdì ha incontrato Paolo Truzzu, proprio all’indomani del voto contrario di FdI e FI alla proposta della Lega sul terzo mandato (non un segnale di unità, diciamo). Ma c’è chi sostiene che se il sindaco di Cagliari non dovesse vincere le Regionali – nonostante le divisioni dei competitor, che oggettivamente lo avvantaggiano -, per il ministro dei Trasporti in fondo non sarebbe una tragedia. Perché Truzzu è un candidato di FdI fortemente voluto da Giorgia Meloni, contro i desiderata di Salvini che – come noto – avrebbe voluto la conferma di Solinas. E questo esacerberebbe i toni specie in vista delle Europee, dove si vota col proporzionale e ognuno deve pensare a sé, a come marcare le differenze e capitalizzare i consensi anche a discapito degli alleati. Salvini ha smentito l’ipotesi di un voto disgiunto da parte della Lega: “Fantasie di qualche quotidiano di sinistra che ha l’attendibilità di Topolino”, ha detto ieri. Ma nel centrodestra gli occhi sono puntati anche sul Psd’Az, colpito nell’orgoglio ma rimasto in coalizione nonostante la defenestrazione di Solinas. Come si comporterà nel segreto dell’urna?

Sul fronte Campo largo, Elly Schlein ha negato che le Regionali siano un test nazionale. Qualcuno maliziosamente ha ricordato le dimissioni di Walter Veltroni da segretario del Partito Democratico proprio in seguito alla sconfitta in Sardegna di Renato Soru (vedi tu i casi della vita) contro Ugo Cappellacci nel 2009. Ma in questo caso il punto non è la guida dei Dem: il vero banco di prova per la sua leadership saranno le Europee. La segretaria del Pd lavora da quando è stata eletta a una alleanza di Governo col M5s e la scelta di Alessandra Todde è un banco di prova importante in vista del dopo Europee, indipendentemente dalle modalità di selezione della candidata (l’accordo romano denunciato da Soru o la decisione del tavolo sardo rivendicata dagli aderenti al ‘Campo largo’). In questi mesi il Pd ha incassato i colpi di Giuseppe Conte quasi senza battere ciglio e sempre meno sottovoce emergono critiche su quello che viene considerato un appiattimento sulla linea 5s per la necessità di tenere la porta aperta a un accordo di coalizione solido. Ma l’avvocato del popolo non intende farsi ingabbiare e sguscia via come un’anguilla. Punta a superare i Dem in termini di consensi e dare l’idea di essere loro alleato strutturale gli renderebbe più complicato lanciare l’Opa sulla leadership di una eventuale, futura coalizione. Anche quando emergono – come dire – ambiguità politiche come quelle sulla preferenza tra Biden e Trump e sulla questione dell’invio alle armi all’Ucraina: temi che sarebbero decisivi nell’ottica di un ritorno al Governo. Se dovesse vincere il Campo largo, Conte spenderebbe il risultato anche come una sua vittoria e come la certificazione della correttezza di un metodo: no ad alleanze a tutti i costi, sì a quello che chiama il “campo giusto”. Anche Schlein potrebbe sorridere e sarebbe confortata nel percorso intrapreso, silenziando – almeno per un po’ – i malumori dei riformisti e i dubbi dei cattolici. E potrebbe sostenere la tesi di un cambio di vento a livello nazionale, che ormai da qualche anno spira stabilmente a destra. Ma se Todde perdesse per i 5s sarebbe l’ennesima conferma della loro debolezza a livello locale e – sul versante Schlein – si solleverebbero critiche, per ora solo sussurrate, su una alleanza che non tutti i Dem riescono a digerire. Anche se è certo che nel caso di sconfitta il dito verrebbe puntato quasi automaticamente sul fondatore di Tiscali. La campagna di Todde – orchestrata dal M5s – nelle ultime settimane ha insistito sul tema del voto utile, per non disperdere consensi nella direzione di Soru (i cui supporter invitano invece al voto disgiunto), e ha attaccato Truzzu laddove è più esposto: nell’amministrazione di Cagliari. L’ex viceministra ha detto che comunque vada rimarrà in Sardegna, sedendo in Consiglio regionale in caso di sconfitta, e rinuncerà al seggio da parlamentare. Ma Todde – nonostante la spaccatura nel centrosinistra – ancora spera nella rimonta. 

E Renato Soru? Anche il fondatore di Tiscali si dice convinto di vincere. La sua candidatura da ‘outsider’ ha preso corpo contro “l’accordo romano” Pd-M5s e la mancata celebrazione delle primarie per scegliere il o la leader della coalizione. In questo senso la sua posizione intercetta il pensiero di diversi elettori Dem che non si sentono a loro agio nell’alleanza coi “grillini”, come pure di diversi dirigenti ed eletti che hanno deciso di seguirlo nella sua corsa. Nel caso di Soru non è possibile parlare di ripercussioni a livello nazionale ma il suo mirino è puntato – oltre alle proposte programmatiche per la Sardegna – proprio sull’alleanza grillo-dem e su una “deriva” del suo ex partito, che non riconosce. Al di là dei risultati, l’ex presidente della Regione ha detto che continuerà a lavorare per costruire una forza politica sarda che si presenterà alle prossime consultazioni elettorali. In questo senso è interessante capire se in solitaria o se a un certo punto si cercheranno degli accordi con gli ex alleati, ma al momento sembra difficile: Massimo Zedda si candiderà alle primarie del centrosinistra per le Comunali cagliaritane e brucia ancora la decisione dei Progressisti di tornare nel Campo largo. Quello che pare sicuro è che la coalizione che lo ha sostenuto non rimarrà la stessa. Difficile ipotizzare un percorso comune tra indipendentisti, Rifondazione comunista e +Europa e Azione, vista la differenza profonda – per dirne solo una – sulla politica internazionale e in particolare sulla guerra in Ucraina. 

C’è anche Lucia Chessa, ex sindaca di Austis, la candidata outsider dei Rossomori: una candidatura di testimonianza con una lista unica, “indipendente e nuova rispetto alle altre grandi coalizioni, responsabili del disastro in cui si trova ora la Sardegna”, ha dichiarato la candidata della lista Sardigna R-esiste. Ma c’è una forza di cui tutti i candidati dovranno tenere conto e che ha la maggioranza: quella degli astensionisti. Nel 2019 l’affluenza è stata del  53,7 per cento e le previsioni dicono che per la prima volta potrebbe addirittura scendere sotto il 50. Chiunque vinca sarà eletto o eletta con i voti di una minoranza di cittadini.

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