Referendum, urne aperte. Sì o No? Promemoria a due voci

L’Italia alle urne dalle 7 alle 23: intervista doppia di Sardinia Post a Romina Mura (Pd) e Pietro Pittalis (Forza Italia): l’una sostiene il Sì, l’altro è schierato sul No.

Urne aperte dalle 7 alle 23 in questo 4 dicembre destinato a scrivere un pezzo di storia italiana, qualunque sia l’esito del referendum costituzionale. Al voto circa 51 milioni di elettori, di cui uno e mezzo nella nostra Isola. Lo spoglio subito dopo la chiusura dei seggi e non è previsto alcun quorum per rendere valida la consultazione popolare. Sardinia Post ha chiesto a due esponenti della politica sarda di chiudere la campagna referendaria: Romina Mura, deputata Pd, e Pietro Pittalis, capogruppo di Forza Italia in Consiglio regionale. L’una per il fronte del Sì, l’altro a rappresentare le ragioni del No. È un’intervista doppia con quattro domande secche, uguali per entrambi, proprio per evidenziare i differenti punti di vista sugli stessi temi.

Onorevoli, l’Italia alle urne: una sintesi degli argomenti proposti agli elettori.

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La deputata Pd, Romina Mura

Mura – Oggi, con un semplice Sì, abbiamo la possibilità di fare un passo avanti per cambiare il Paese: è un momento atteso da trent’anni. Il passaggio dal bicameralismo perfetto a quello differenziato garantirà finalmente la semplificazione: con la funzione legislativa ordinaria assegnata alla sola Camera, i tempi di approvazione delle leggi si ridurranno di molto rispetto ai cinquecento giorni attuali. Nasce il Senato delle autonomie che sarà formato da consiglieri regionali e sindaci: i territori potranno portare le loro istanze a Roma e si avvicineranno al potere centrale. La riforma Boschi conferirà anche maggiore stabilità al Governo, visto che la fiducia verrà votata solo dalla Camera dei deputati. Si ampliano poi gli strumenti di partecipazione diretta, più che mai necessari in questi anni di grande astensionismo: vengono introdotti due nuovi tipi di referendum, il consultivo e quello di indirizzo. Novità anche sull’abrogativo: per renderlo valido basterà, in caso le firme raccolte per richiederlo siano 800 mila, la maggioranza degli elettori che hanno partecipato alle ultime elezioni Politiche. Sulle proposte di iniziativa popolare le firme richieste passano sì da 50mila a 150mila, ma il Parlamento avrà l’obbligo di legiferare in materia, a differenza di quando avvenuto sino a oggi con tre sole proposte esaminate dalle Camere e convertite in legge. Viene prevista una sensibile riduzione dei costi della politica: 315 indennità senatoriali in meno. I 100 del Senato delle autonomie non la percepiranno. Ancora: abolizione del Cnel e delle Province. Riduzione delle indennità dei consiglieri regionali.

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Pietro Pittalis, capogruppo di Forza Italia in Consiglio

Pittalis – Il mio è un convito appello al No, perché quella che andiamo a votare oggi non è una riforma ma una controriforma. Normalmente, in uno Stato liberale, la modifica di un testo di legge è migliorativa. E nel caso della Costituzione dovrebbe aumentare i diritti del popolo sovrano. Invece la produzione normativa in salsa Renzi-Boschi si caratterizza per un centralismo che non si era mai visto nella storia repubblicana, svuotando di competenze fondamentali sia il ruolo dei cittadini nella vita pubblica che il sistema delle Regioni e delle autonomie locali. Lo stesso assetto dello Stato risulta sbilanciato a favore dei poteri del Governo. Un vero e proprio schiaffo all’Assemblea Costituente che in Italia, dal ’46 al ’48, scrisse la nostra Carta costruendo una convergenza tra forze politiche anche eterogenee. Ma i partiti decisero di confrontarsi proprio nel supremo ed esclusivo interesse dei cittadini. Al contrario, questa riforma è stata dettata al Parlamento dall’Esecutivo, tanto che il presidente Renzi ha addirittura legato il voto alla sopravvivenza del suo stesso Governo.

Autonomia della Sardegna: la specialità statutaria è a rischio?

Pittalis – È pienamente a rischio. La centralizzazione di funzioni e competenze prevista dal nuovo articolo 117 riserva allo Stato l’ormai famosa clausola di supremazia: il Governo, appellandosi alla tutela dell’interesse nazionale, può decidere il destino dei territori. Con lo stesso articolo, Roma avoca a sé la potestà legislativa esclusiva su quelle materie assegnate finora alle Regioni a statuto speciale come la nostra. Mi riferisco, per esempio, a urbanistica, ambiente o organizzazione amministrativa. Questa riforma espone la Sardegna al rischio di diventare la pattumiera nucleare dell’Italia, giusto per citare un caso concreto. E di certo la riscrittura dello Statuto col metodo dell’intesa non blinda affatto la nostra specialità: stando a quanto concordato in conferenza Stato-Regioni, in caso di mancato accordo sulle modifiche allo Statuto, il Parlamento può decidere sulla testa dei sardi con un voto d’imperio.

Mura – Per niente. E anzi: a sentire autorevoli sostenitori del No quando dibattono sulla debolezza della riforma, viene messo in evidenza proprio il fatto che le autonomie speciali risultano blindate. Peraltro sulla riscrittura degli Statuti è stato introdotto l’istituto dell’intesa: vuol dire un patto alla pari tra Stato e Regioni. Oggi, invece, l’autonomia statutaria può essere spazzata via in Parlamento da una qualsiasi maggioranza scellerata. Non corrisponde al vero nemmeno la paventata incompatibilità tra la carica di consigliere regionale e quella di senatore. Questo perché le cause ostative previste nello Statuto sardo fanno riferimento alla Costituzione del ’48 che, in caso di vittoria del Sì, sarà corretta dalla riforma Renzi-Boschi.

Superamento del bicameralismo perfetto con attribuzione dell’attività legislativa quasi interamente alla Camera: questa modifica alla Costituzione indebolisce i poteri di garanzia?

Mura – Non c’è motivo per pensarlo. Il presidente della Repubblica continuerà a essere eletto dal Parlamento con maggioranze molto qualificate e in seduta comune. Nei primi quattro scrutini serviranno i due terzi degli aventi diritto; dal quinto al settimo i tre quinti. Dall’ottavo scrutinio, invece, i tre quinti verranno calcolati sui votanti, ma come noto l’elezione della prima carica dello Stato è partecipatissima. Per rapportare i numeri al caso concreto, con l’Italicum il partito che vincerà le elezioni si vedrà assegnare alla Camera 340 seggi (su 630): per eleggere il presidente della Repubblica nei primi sette scrutini saranno richiesti da 483 a 435 voti. I poteri di garanzia dello Stato non sono indeboliti nemmeno sul fronte della Consulta: al Parlamento spetterà scegliere cinque giudici costituzionali, di cui tre indicati dalla Camera e due dal Senato. E questo con una novità rimasta ai margini del dibattito referendario: in Senato la scelta spetterà ai consiglieri regionali e ai sindaci. Vuol dire che nei contenziosi tra Stato e Regioni, il sistema delle autonomie, uscito quasi sempre perdente, può contare su giudici più vicini. La riforma non tocca nemmeno i poteri dell’Esecutivo: e anzi i limiti alla decretazione d’urgenza vengono costituzionalizzati e circoscritti per evitare l’uso eccessivo che se ne fa oggi. Viene poi introdotto il voto a data certa: il Parlamento può deliberare di approvare i disegni di legge considerati prioritari dal Governo entro una scadenza precisa. Si è costruito un meccanismo che consente al Parlamento di riappropriarsi della funzione legislativa. Oggi oltre l’80 per cento delle leggi approvate sono di iniziativa governativa.

Pittalis – Il bicameralismo perfetto verrà sostituito con uno imperfetto e confuso. Se fino a oggi la Costituzione prevede un solo procedimento legislativo con passaggio di una legge in entrambe le Camere, in prima o anche in seconda votazione, la riforma Renzi-Boschi introduce almeno quattro procedure diverse: leggi bicamerali; leggi approvate dalla sola Camera con possibile esame del Senato entro dieci giorni; leggi approvate della sola Camera con necessario esame del Senato entro dieci giorni; leggi approvate dalla sola Camera con necessario esame del Senato entro quindici giorni. Dove stia la semplificazione è ancora da dimostrare. Ma l’Italia sta andando alle urne ed è per questo necessario un convinto No a una riforma che svilisce la Costituzione e apre la strada al moltiplicarsi dei contenziosi davanti alla Consulta. La potestà legislativa del Governo, attualmente limitata alla sola decretazione d’urgenza, risulta poi rafforzata attraverso l’introduzione del voto a data certa: l’Esecutivo, in buona sostanza, non solo si limiterà a scrivere decreti legge, strumento di cui si continua ad abusare, ma imporrà anche i tempi dell’esame, riducendo il Parlamento a mero organo di ratifica.

Nuovo Senato formato da consiglieri regionali e sindaci: si porrà eventualmente un problema di doppio incarico?

Pittalis – Anche la composizione del nuovo Senato è una grave anomalia della riforma. Intanto il popolo sovrano è esautorato della sua facoltà di scegliere i propri rappresentanti, i quali verrebbero votati dai Consigli regionali tra gli stessi rappresentanti delle Assemblee o tra i sindaci. Non è dato sapere come a incarichi così importanti sotto il profilo dell’impegno quotidiano richiesto, possa sommarsi il ruolo di senatore, peraltro fuori sede. Il risultato sarà quello di non poter onorare né l’uno né l’altro impegno politico. Nello specifico dei consiglieri regionali, stando alla riforma, uno dovrà sceglierlo la maggioranza, l’altro l’opposizione, trasferendo in questo modo il conflitto politico anche nel nuovo Senato. Nulla è poi detto sulla rappresentanza di genere, malgrado i proclami. È evidente che comunque la si analizzi, questa riforma è solo foriera di modifiche peggiorative.

Mura – Oggi i sindaci delle grandi città viaggiano di continuo: almeno una volta a settimana sono impegnati in tavoli nazionali. E in Senato non dovranno fare altro che portare le istanze dei propri territori, al pari dei consiglieri regionali. Non si tratterà di un doppio carico: sarà richiesto un supplemento di lavoro nello svolgimento di una funzione che viene già esercitata. Attualmente la conferenza Stato-Regioni l’unico spazio di confronto tra Governo e autonomie locali: con il Sì alla riforma, questo spazio si estende all’intero e nuovo Senato. Per tutelare la rappresentanza democratica, il Pd ha già depositato la proposta di legge Chiti: prevede che alle Regionali l’elettore possa votare pure il consigliere da mandare a Roma.

Alessandra Carta
(@alessacart on Twitter)

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