Urla, attacchi, accuse e un continuo vociare in sottofondo. È una seduta fiume, e velenosa, quella sul commissariamento di cinque Province sarde su otto (Cagliari, Sulcis, Medio Campidano, Ogliastra e Gallura). Ma stanotte, sebbene gli onorevoli sardi resteranno in Aula fino alle 22, non si approverà nulla. Il destino degli enti intermedi verrà deciso domani. E ai voti finirà pure l’emendamento targato Pd, con una proposta di segno opposto rispetto all’articolo 10 del centrodestra. Ovvero, niente assemblee da sciogliere, piuttosto una proroga per tutte le otto Province, fino alla scadenza naturale del 2015.
IL QUADRO. Alla fine saranno sette ore di guerra. Ma solo domani (oggi, ndr) il Consiglio regionale deciderà se mettere (o meno) il sigillo alla linea di Ugo Cappellacci. Quella che fa il paio con l’arrivo di un commissario a Cagliari, nel Sulcis, in Ogliastra, nel Medio Campidano e in Gallura. Il governatore si è imposto in maggioranza, sotto il pressing dei Riformatori, il partito che un anno fa ha promosso il referendum abrogativo sulle nuove Province sarde e quello consultivo per le vecchie. In entrambi i casi aveva vinto il “sì”. Adesso i Riformatori hanno battuto cassa e chiesto «di rispettare la volontà popolare».
IL PD. Nella fila dell’opposizione, come aveva annunciato Gian Valerio Sanna (Pd), hanno fatto partire l’ostruzionismo. Tutti sulla stessa lunghezza d’onda, con toni durissimi. «Questa non è una riforma, ma un abuso di potere, una lottizzazione», ha tuonato Sanna. Giuseppe Cuccu, altro democratico, non è stato da meno: «Volete la gente serva, persone che dalle periferie vengano in città con il cappello in mano. Siete novelli predatori, restauratori, protagonisti di un ennesimo scempio. Vi anima solo una furia commissariatrice». Franco Sabatini, pure lui del Pd, ha tenuto la barra alta sulla polemica: «Oggi state tentando di occupare le istituzioni e i territori, in modo illegittimo. Accettare il risultato referendario non significa abrogare solo le quattro nuove Province, ma azzerare anche quelle storiche. Peraltro: se il dopo commissariamento si lasciano in piedi solo Cagliari, Oristano, Nuoro e Sassari, non si sta facendo una riforma ma un progetto di retroguardia».
I LIBERAL DEMOCRATICI. L’onere di difendere la linea referendaria se l’è preso Michele Cossa, vicepresidente dell’Aula e segretario sardo dei Riformatori: «La violenza verbale sentita stasera andrebbe bandita da questa Assise. Sembra che tanti consiglieri non sappiano di cosa si stia parlando. Il Tar (Tribunale amministrativo regionale), con una sentenza di maggio 2013, ha considerato di dubbia costituzionalità la proroga degli enti intermedi, sancita con la legge 11, in discussione oggi. E la Corte dei conti si è espressa allo stesso modo. Quattordici mesi fa, 555mila sardi sono andati alle urne e, inequivocabilmente, hanno scelto di abrogare le Province. Quest’Assemblea avrebbe dovuto legiferare già da maggio 2012, ma non l’ha fatto. Il commissariamento è la strada più naturale per rimettere ordine nel sistema delle autonomie locali».
L’INCERTEZZA. In Consiglio, comunque, un’incognita rischia di sparigliare: è la cordata di onorevoli che potrebbe seguire Mario Diana, l’ex pidiellino capogruppo di “Sardegna è già domani”. Diana è stato chiaro: «Commissariare gli enti intermedi, vuol dire mandare a casa assemblee democraticamente scelte dai cittadini. Vien da sé che una legge così possa essere impugnata già domani mattina». Il consigliere di Oristano ha invitato il centrosinistra a chiedere il voto segreto, come lo stesso Diana ha fatto venerdì sulla legge elettorale per bocciare la doppia preferenza di genere. E se così fosse, Cappellacci e i Riformatori qualcosina la devono temere. Oggi si saprà tutto.
Alessandra Carta