Sono come un esercito senza Stato. Molti dipendenti delle Province attendono il loro destino lavorando per uffici che stanno per perdere ogni competenza. Che fine faranno? Dove saranno collocati? Allo stato attuale non si sa nemmeno il numero di dipendenti che, in servizio nelle Province da abolire (Olbia-Tempio, Ogliastra, Medio Campidano e Sulcis Iglesiente), debbano essere trasferiti ad altri enti e con quali competenze. Uno dei primi passi per procedere all’individuazione degli esuberi e alla ricollocazione, secondo quanto prospettato dalla Dipartimento per la Funzione pubblica, è rappresentato dall’atto, adottato dalle amministrazioni provinciali, con il quale vengono individuati nominativamente i dipendenti da considerare in soprannumero. Ma allo stato attuale nessun dirigente può e vuole prendersi la responsabilità di adottare questa determina. Per poter procedere alla compilazione dell’elenco nominativo è necessario che vengano individuate le funzioni che restano in capo agli enti di area vasta, siano esse fondamentali oppure delegate dalle regioni. In sostanza, serve la legge regionale con la quale si individuano i compiti che le stesse amministrazioni si riservano di svolgere direttamente e quelle che invece scelgono di delegare a loro volta agli enti di area vasta.
Province da abolire con dipendenti a carico, in arrivo le sanzioni
Per ora gli enti fantasma continuano a restare in vita, attaccati al respiratore della Costituzione che ne prevede l’esistenza. La legge di riordino dovrebbe arrivare presto in Consiglio ma, per ora, questo lassismo per la Regione rischia di non essere indolore, dal momento che sono previste sanzioni introdotte dal decreto Enti locali proprio per le Regioni che non chiuderanno la procedura entro fine ottobre. Il testo della riforma dovrebbe arrivare in Consiglio regionale ai primi di ottobre, dunque si dovrà andare di corsa. Intanto le Unioni dei Comuni sembrano scomparse dal radar. Teoricamente dalle Province sarde nel 2015 lo Stato dovrebbe portare via risorse per un miliardo. Loro a un passo dal collasso finanziario sforeranno tutte il Patto di stabilità. Gli oltre 2mila dipendenti avrebbero dovute essere assorbiti da Regione e Unioni dei comuni, che per legge non possono aumentare il loro personale. Ma come? Non più dalle Unioni dei Comuni, par di capire. Come abbiamo visto, senza un criterio col quale vengano quantificati i dipendenti che debbono essere trasferiti e quelli che invece dovranno restare nei ruoli delle ex Province, in molte Regioni il processo è bloccato.
La mancanza dei criteri sulla mobilità
Ma nell’Italia dalle mille norme, la Sardegna e i dipendenti provinciali rischiano di essere solo un’altra vittima collaterale. Se anche le Regioni accelerassero sull’approvazione della legge, il processo rischierebbe di bloccarsi per la mancanza dei criteri sulla mobilità, previsti dal comma 423 della legge di stabilità 2015. Infatti, mentre è stato approvato il decreto con il quale sono fissate le tabelle di equiparazione fra le categorie dei diversi comparti pubblici, il provvedimento sui criteri è stato esaminato in sede di conferenza unificata ma non ha ancora visto il varo definitivo. È evidente che, in assenza di regole, la procedura non può essere comunque portata a termine.
Gli stipendi sono a rischio
Sorge a questo punto il problema di dare certezza allo stipendio dei dipendenti ex provinciali. Le norme garantiscono loro, in caso di mobilità, il trattamento fondamentale e il salario accessorio, limitatamente alle voci con carattere di generalità e natura fissa e continuativa. Sul salario accessorio si scatenerà l’inevitabile bagarre, sia perché non ha trovato una chiara definizione a livello normativo e contrattuale, sia perché non risulta essere mai stato finanziato. Anche se tutti i dubbi fossero dissipati con uno scatto alla Bolt, la conclusione del processo non potrebbe definirsi se non alla fine dell’anno. Questo significa che per l’anno corrente gli stipendi di tutti i dipendenti delle ex Province, compresi quelli dichiarati in soprannumero, devono trovare spazio nei bilanci degli enti di area vasta. E non è così scontato che questi bilanci reggano. Gli input che provenivano dalla Funzione pubblica a inizio anno avevano fatto ipotizzare che i trasferimenti del personale in esubero potessero avvenire attorno alla fine del primo semestre 2015 o, al massimo, in autunno. L’aver previsto la spesa solo per una parte dell’anno, magari per poter far quadrare un bilancio che sopportava tagli non indifferenti, mette a rischio le casse degli enti di area vasta e gli costringe a sforare inevitabilmente il Patto di Stabilità. La Regione sarda deve mettere nel serbatoio almeno 15 milioni di euro per far quadrare i conti fino alla fine dell’anno. Ma certezze non ce ne sono.
Lo sforamento del Patto e Province al collasso
La situazione economica delle Province è dunque vicina al collasso. Nel 2015 tutte sforeranno il Patto di stabilità, come abbiamo visto una condizione indispensabile per pagare stipendi e svolgere le funzioni essenziali. «Lo sforamento per legge rende impossibile confermare i contratti a termine – spiegava l’assessore agli Enti locali, Cristiano Erriu – e questo comporta ulteriori difficoltà. Per ora pensiamo a trovare coperture per il 2015». Gli oltre 2 mila dipendenti, come scrive La Nuova Sardegna, ogni giorno consentono alla macchina amministrativa di occuparsi di strade, scuole e di altre 146 competenze. Il numero non è inventato, ma stabilito da una commissione il cui compito è dire di cosa si occupa l’inutile ente che deve sparire. L’elenco è arrivato a 146. Tutti compiti che dovranno essere spalmati tra Regione, Comuni e futuri enti intermedi. Inevitabili sono, quindi, interventi che, da un lato, aumentino gli stanziamenti di bilancio per gli stipendi dei dipendenti e dall’altro allarghino l’arco temporale dal biennio al triennio, includendo anche il 2017. Forse non a caso, la scorsa primavera, la Funzione pubblica ha chiesto alle singole amministrazioni anche le cessazioni dal servizio del 2016. Insomma dove la legge non regala chiarezza, una cosa è certa: i soldi pubblici scorrono ancora copiosi.
Giandomenico Mele