di Vito Fiori
I giochi sono fatti e nulla potrà cambiarli. Il Pd sardo si appresta, è questione di un paio di settimane, a indicare Silvio Lai, parlamentare sassarese, come nuovo segretario del partito in sostituzione di Piero Comandini, presidente del consiglio regionale. Quindi, non ci saranno scossoni, ammesso che si possano definire tali eventuali nomine diverse da Lai, il quale incarna alla perfezione l’anima conservatrice e istituzionale dei democratici isolani.
Non Mauro Usai, giovane sindaco di Iglesias, su cui molti erano disposti a puntare. Non Camilla Soru, consigliera regionale dal cognome pesante (è figlia di Renato), che aveva solleticato l’interesse e l’apprezzamento delle donne del Pd, peraltro l’unica ad aver sostenuto Elly Schlein nella corsa alla segreteria nazionale lo scorso anno. “Non credo sia il momento di dividerci sui nomi – ha detto la Soru – sono convinta che Silvio rappresenti molto bene la figura del segretario: è preparato, ha esperienza ed è stimato dalle diverse anime del partito”.
Si era anche parlato di Davide Carta, consigliere comunale a Cagliari, come possibile alternativa. Nella scorsa primavera il suo nome era emerso come candidato del Pd alla carica di sindaco della città capoluogo, prima che il partito e l’intero centrosinistra convergessero su Massimo Zedda. Ma anche per Carta la strada verso la segreteria è parsa chiusa sin da subito.
Nessuno, in questo momento, vuole un congresso, nuove primarie e un confronto aperto. Ci sono le norme interne a regolare la materia. Cioè, la nuova segreteria sarà eletta dall’assemblea del partito. Così dice lo statuto e così sarà. Molti temono che il rischio di dilapidare i consensi ottenuti alle ultime regionali è alto, altissimo. In un partito i cui elettori sono prevalentemente anziani e appartenenti alla fascia medio alta per reddito, forse va bene così. Anzi, considerando che la popolazione italiana, quella sarda ancora di più, continua a invecchiare sicuramente è la scelta giusta. Non solo, non preoccupa che gli studenti universitari, da sempre serbatoio di voti del Pd, una volta cresciuti e realizzati professionalmente abbandonino il partito per fare altre scelte o disertino le urne.
Insomma, alla fine, verrebbe da dire “meno male che Silvio c’è” – anche se non è lo stesso dell’originale, almeno il Pd può sopravvivere. Con le varie componenti in campo a siglare una tregua purché sia, naturalmente in cambio di qualche mancetta di sottogoverno.