Meno soldi per debito pubblico, Corte Costituzionale boccia il ricorso sardo

La Corte Costituzionale ha dichiarato inammissibile il ricorso presentato dalla Sardegna, insieme ad altre regioni a statuto speciale, per ridurre i cosiddetti accantonamenti, cioè le quote da versare ogni anno a copertura del debito pubblico. Lo hanno annunciato, in una conferenza stampa convocata a Villa Devoto, il presidente Francesco Pigliaru e gli assessori Raffaele Paci (Programmazione) e Luigi Arru (Sanità).

A livello pratico al momento non cambia nulla: la Sardegna per il 2017 non dovrebbe versare ulteriori risorse rispetto ai 684 milioni del 2016. Ma non si può escludere che l’anno prossimo “l’Isola sia costretta a pagarne 848, ciò che ci impone di continuare un confronto duro con lo Stato – è la posizione dell’Esecutivo -. Perché noi sugli accantonamenti non solo non siamo disposti ad aggiungere un euro in più, ma puntiamo alla riduzione della quota totale come nella vertenza aperta col sottosegretario Bressa prima e Palazzo Chigi poi“.

È stato il presidente Pigliaru ad aprire la conferenza stampa ricordando che “l’aumento degli accantonamenti serve per coprire le spese della sanità nelle Regioni a statuto ordinario e, secondo Roma, la Sardegna deve contribuire pur pagandosi da sola il 100 per cento dei costi per l’assistenza medica e ospedaliera. Un’assurdità, di cui non capiamo il senso e per questo crediamo che, al netto del verdetto tecnico e giuridico della Consulta, sia necessaria una presa di posizione politica”.

La Giunta ha presentato il ricorso dichiarato inammissibile insieme a Friuli Venezia Giulia, Sicilia e le Province di Trento e Bolzano. Ha partecipato anche il Veneto, pur non essendo a statuto speciale. “Credevano – spiega Paci – che la Corte Costituzionale ci desse ragione. Anche da interlocuzioni informali con titolati esponenti del Governo, era convincimento comune che la Consulta accogliessero la nostra opposizione contro l’aumento degli accantonamenti previsto attraverso le diverse Leggi nazionali di stabilità. Non è andata come speravamo. Tuttavia, i giudici hanno riconosciuto la non validità del principio con cui lo Stato continua a chiedere gli accantonamenti, ovvero con proroghe indefinite nel tempo. E questo è un punto a nostro favore, visto che nella vertenza con Bressa e con Palazzo Chigi contestiamo anche questo principio”.

Dal 2012 a oggi la Sardegna ha pagato 3,3 miliardi a copertura del debito pubblico, “una cifra enorme che rischia, con l’ulteriore aumento da 684 milioni a 848 di erodere la quota di Irpef che lo Stato deve alla Sardegna – continua Paci -: per legge, attraverso lo Statuto che è di rango costituzionale, è fissata in 7/10. Ma adesso, con una norma ordinaria, rischia di scendere a 5/10. È evidente che non possiamo accettare un taglio di queste proporzioni perché il rischio è mettere in ginocchio la nostra economia”.

L’assessore Arru è intervenuto a difesa della sanità sarda. “Facciamo – ha detto – enormi sacrifici per tutelare la salute dei sardi. A nostre spese copriamo i costi dei farmaci innovativi e quelli per i nuovi livelli essenziali di assistenza (Lea). Ma se il Governo continua ad aumentare gli accantonamenti, si rischia di avere cittadini di serie A e di serie B. I primi residenti nelle regioni a statuto speciali che hanno la sanità a carico dello Stato, mentre nei secondi dovremmo includere i sardi che pagano di tasca propria le spese del settore. Ecco perché, responsabilmente, è necessario che Roma inverta la rotta e garantisca uguali diritti a tutti”.

Al. Car.
(@alessacart on Twitter)

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