C’è un primo endorsement sulla correzione della legge regionale 19, quella che per un errore fatto dal Consiglio il 24 ottobre scorso ha stabilito tempi troppo stretti sulle opere pubbliche. E adesso i Comuni che entro quella data non hanno appaltato i lavori, devono restituire i soldi ottenuti dalla Regione, per un importo stimato in 600 milioni. Ecco perché la proposta di modifica della norma, avanzata Cesare Moriconi (Pd). Obiettivo: spostare la scadenza al 15 marzo. A prendere posizione – a favore – è Pier Sandro Scano, presidente di Anci Sardegna, l’associazione dei Comuni isolani. “Condividiamo pienamente il principio della legge 19 – chiarisce in premessa -: chi non utilizza i fondi pubblici, li deve dare indietro (anche perché non l’armonizzazione dei bilanci gli anticipi ottenuti degli enti locali sono debiti per la Regione ndr). Ma i mancati appalti non sono imputabili alle Giunte municipali, quasi sempre è il patto di stabilità che ingessa la spesa dei Comuni”.
Lo scontro sulla legge 19 sembra solo all’inizio. Di certo mercoledì, quando nel palazzo di via Roma si riunisce la conferenza dei capigruppo, si capirà l’orientamento dell’Aula e gli eventuali margini di manovra sulla correzione. Nel frattempo Scano fa notare: “Il paradosso è che gli enti locali si stanno ritrovando nella morsa di due legislatori. Da una parte lo Stato che limita e blocca la spesa, dall’altra la Regione che toglie soldi a chi non li utilizza. Ciò vuol dire punire gli incolpevoli”.
Tutto ruota intorno ai commi 1,5 e 6 che hanno fissato per legge il definanziamento delle opere non appaltate al 24 ottobre. “Si tratta – continua Scano – di un meccanismo perentorio che va indubbiamente cambiato. In un incontro ad Abbasanta, la Giunta aveva proposto di inserire la modifica nella Finanziaria 2015, ma se c’è la possibilità di farlo subito, meglio ancora. Anche perché la cancellazione delle risorse, di fatto, è già entrata in vigore”.
Si gioca dunque anche sul tempo la querelle della legge 19, pensata dall’Esecutivo per ridurre i residui di bilancio. Quindi le voci passive della finanza pubblica. Non solo: nel contestato articolo 2 c’è un comma (il numero 2) che prevede la costituzione di “uno specifico fondo, pari a un importo di 30 milioni di euro” per ottenere il rifinanziamento dell’opera. E ciò presentando “alla Regione un’apposita richiesta entro il termine perentorio del 30 marzo 2015”. Ma a ben vedere, il plafond non tranquillizza l’Anci, sebbene i 30 milioni possano essere aumentati a seconda delle richieste.
A riaccendere lo scontro tra Anci e Regione, tuttavia, non è solo la legge 19. “Esprimiamo forte preoccupazione – continua Scano – anche per i 60 milioni di acconto sul saldo dei crediti che i Comuni hanno con la Regione. Tra qualche giorno sarà chiaro il quadro, noi speriamo che tutte le risorse promesse siano state rigirate” (qui il pdf sugli spazi finanziaripazi finanziari concordati).
I 60 milioni in questione facevano parte di una tranche da 160 riconosciuta ai Comuni dalla Giunta dopo l’intesa con lo Stato del 21 luglio scorso, quella col quale Roma ha autorizzato la Regione a sforare il patto di stabilità di 320 milioni, arrivando così a una spesa totale di 2,696 miliardi (esclusi sanità e trasporti a carico della Sardegna). Di questi, (qui il testo integrale della delibera più la tabella con i riparti finanziari divisi per assessorato), l’Esecutivo aveva assegnato i 60 milioni come acconto sulle opere delegate, cioè quelle realizzate dai Comuni per conto della Regione. Altri 30 milioni vennero inseriti nel Fondo unico per gli enti locali e ulteriori 70 milioni erano andati nel capitolo del Patto verticale, ovvero la possibilità anche per le amministrazioni municipali e provinciali di sforare il patto. Adesso è tempo di conteggi, ma anche di nuove frizioni.
Alessandra Carta
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