Era lì. Lo si vede nella foto che ritrae gli antimilitaristi nonviolenti a La Maddalena, davanti al poliziotto che agita minacciosamente il manganello, in quel caldo 19 agosto di quarant’anni fa. È stato uno dei protagonisti e animatori delle tappe sarde della Prima marcia internazionale antimilitarista nonviolenta. Con Piernicola Simeone abbiamo voluto ripercorrere quei momenti e fare un bilancio delle aspettative (tradite?) di un giovane antimilitarista, non sardo, che si batteva per liberare l’Isola dalle servitù militari e per un esercito democratico.
Sempre e pericolosamente in prima linea…
Avevo 27 anni, ero lì, dall’inizio alla fine, anche quando c’era da prendere calci negli zebedei.
È vero che all’epoca eri ufficiale della Marina Militare?
Sì, per la precisione sottotenente di vascello, nel Genio.
Che ci facevi tra gli antimilitaristi?
Sempre stato antimilitarista e oggi ancor di più. Ero lì come cittadino. Anzi, come cittadino militare sospeso dal servizio attivo.
Perché mai?
La sospensione dal servizio mi venne comunicata nella primavera del 1975: era stata presentata nei miei confronti una denuncia da un capitano dei carabinieri del SID. Ero l’unico ufficiale in servizio permanente effettivo che faceva parte del movimento di democratizzazione delle FF.AA. Ed ho l’orgoglio di essere stato sospeso e messo a metà stipendio, mentre il generale Maletti e tanta altra gente condannata non sono mai stati sospesi.
Cosa avevi combinato?
Avrei, secondo lui, partecipato a una “occupazione” di uffici comunali per la campagna referendaria sull’aborto. Al primo dibattimento riesco a dimostrare, con la testimonianza del maresciallo dei carabinieri, che i nomi dei 5 effettivamente presenti nella sala d’aspetto del comune, per parlare col sindaco, erano diventati improvvisamente 6: avevano aggiunto il mio nome. Un semplice trucco bastardo per mandare chi volevano ad metalla.
Mai stato prima d’allora in Sardegna?
No. Ci arrivai a fine maggio 1975 e sono ancora qui.
Rifaresti l’esperienza della marcia?
Le motivazioni di quella marcia antimilitarista stanno tutte in piedi, anzi, oggi più che mai.
Roberto Cicciomessere disse: “Si andò a creare un conflitto: una parte prettamente antimilitarista e nonviolenta, quella radicale che diceva no a tutti gli eserciti, ed una parte che diceva no solo agli eserciti imperialisti”…
La vecchia trappola della sinistra marxista leninista. Il discorso è: che tipo di esercito? Già allora erano presenti diversi modelli di esercito. Quello italiano era fermo, tale e quale, alla seconda guerra mondiale. L’immobilità su forma e ruolo dell’esercito venne affrontata dai radicali. In quegli anni c’era un uso distorto delle Forze Armate e Cicciomessere cominciò a fare le pulci al bilancio del ministero della Difesa.
Erano tempi difficili?
Per chi viveva quegli anni, poco prima che scoppiassero gli sciagurati anni di piombo, era il momento di cominciare ad abbattere lo steccato che separava la società civile da quella militare, che era parte separata. La marcia fu la punta avanzata per discutere del modello di esercito, ma non solo. E’ bene ricordare che l’anno dopo partì la raccolta firme dei radicali per 8 referendum. Tra questi l’abrogazione dei tribunali militari e delle legga che attribuiva alla polizia poteri speciali. Il nostro approccio all’antimilitarismo era a 360 gradi.
Servitù militari e dintorni. Risultati? Da allora qualche passo in avanti?
Siamo sempre nei dintorni dello zero. Passiamo la vita a farci distrarre e la comunicazione non aiuta, anzi, alle volte serve più a nascondere che non farti vedere le cose. Un solo esempio: i diritti dei cittadini in divisa. Bene, oggi abbiamo cose come i Cocer che servono a scegliere quale frutta mangiare ai pasti, o poco più.
Molti gli errori passati. Oggi?
Per il passato un solo esempio: il mancato decollo del turismo nel sud Sardegna, ascrivibile al fatto che avevamo un aeroporto militare e non civile, con tutto ciò che voleva dire e nonostante ci fosse Decimo. Vedi, noi continuiamo ad avere l’illusione che una base militare, che impedisce qualsiasi altra cosa, se fatta con criterio produca reddito, quando invece nei fatti rappresenta un tappo su possibili e altri sviluppi. Il fatto è che non si riesce a quantificare lo sviluppo mancato, forse perché in Sardegna non c’è alcuna zona che possa dirsi veramente decollata sotto il profilo economico. Ecco perché il discorso antimilitarista qui ha difficoltà a passare, rispetto al Friuli e Veneto: per loro ogni metro quadrato di terreno è oro, lo sanno fare fruttare. Noi?
L’occupazione militare.
L’occupazione militare non è soltanto un discorso di basi militari. E poi sono molto preoccupato per l’occupazione della società – ieri come oggi – da parte dell’industria degli armamenti. Non per nulla l’unico settore industriale che tira un po’ in tutto il mondo, in crescita, è proprio questo. E qui scatta il cortocircuito, il ricatto occupazionale: basti pensare alla fabbrica di bombe di Domusnovas. Del resto, 10 anni dopo la marcia, anticipando i tempi, c’era ancora un nostro assessore regionale che diceva: “Embe’, abbiamo le basi militari, in cambio dateci qualche fabbrica d’armi, almeno sono posti di lavoro…”. Era la punta – così autodefinitasi – più rivoluzionaria della sinistra sarda, figuriamoci. Oggi le cose non sono cambiate tanto, non ci si ferma a ragionare sugli effetti e meccanismi di una società in armi, degli interessi connessi all’industria degli armamenti, con un esercito non controllato…
Eppure, se non sbaglio, di questi temi si parla molto in Parlamento…
La battaglia antimilitarista è più una battaglia culturale che non parlamentare. Il parlamento di allora era infinitamente migliore di quello d’oggi. Oggi l’ignoranza beata, gli slogan e la superficialità la fanno da padroni, anche a sinistra.
La nonviolenza, spiegami come fu manifestata nella marcia.
Ci ritenevamo dei cittadini nonviolenti e mai abbiamo fatto l’errore di contrapporci ai cittadini in divisa, piuttosto ci siamo battuti perché loro avessero gli stessi nostri diritti e qualche garanzia in più. Non esiste un esercito buono, esiste un esercito democratico, o quanto meno dovrebbe. Ho sempre detto che laddove ci sono frange violente, la nonviolenza doveva esserci, si dovesse confrontare. Io non credo nell’uso consapevole della violenza, la violenza brucia. Non puoi fare operazioni chirurgiche, la violenza è cieca, brucia a favore e contro, alimenta altra violenza, non mette in moto il cervello. E’ l’errore che fecero in molti durante la strategia della tensione che portava avanti lo Stato, dove infatti siamo caduti come pere cotte.
Dopo i fatti della Maddalena, il sottosegretario Darida, rispondendo alle interrogazioni, disse che la grandissima parte della popolazione era contro la manifestazione…
Falso. Io ricordo che dopo il pestaggio molti cittadini della Maddalena ci fermavano per strada per esprimerci solidarietà.
Il Pd è al governo, a Roma come a Cagliari, praticamente tutte le leve della Difesa nazionale sono nelle sue mani, c’è una congiuntura mai realizzata prima d’ora, ma di risultati nell’Isola non se ne vedono, le servitù militari non arretrano di un centimetro. Molto fumo e niente arrosto?
Le risposte possono essere tante. La prima che mi viene in mente è che forse non sanno bene cosa fare al posto delle servitù militari. Una Regione che in sessant’anni non è riuscita a monetizzare il danno di non avere né ferrovie all’altezza e né metano, cosa vuoi che proponga per le basi militari? Basta fare un giro a Cagliari. Ma è possibile che non si sia riusciti a dire al ministero della Difesa: “ tu entro un mese mi dai questi immobili perché non ti servono più”? C’è un vuoto pneumatico di idee, c’è la mancanza di volontà e di confronto. A me dispiace che in questa congiuntura, come la chiami tu, sia venuto a mancare Pinuccio Sciola. Era uno che le cose non le mandava a dire. Lui sulle basi militari avrebbe detto la stessa cosa. Nelle tante strutture militari si potrebbe fare l’Università della pace, intesa come fabbrica in cui si riesce a ridare un mestiere di base, un mestiere spendibile, insomma, semi di pace. E invece no. Teniamo delle cose vuote come monumento all’incapacità di decidere e scegliere, non c’è statura intellettiva.
Torniamo alla marcia. Ricordi la posizione o le reazioni del Pci?
Salvo qualche esponente locale, a titolo personale, il Pci fu assente, non pervenuto. Su questi temi erano in cortocircuito e lo sono ancora. Molto più attivi e vicini alle battaglie antimilitariste i socialisti, prima che arrivasse Craxi, naturalmente. A Cagliari Agostino Castelli. E Peppino Tocco a Iglesias. Mi piace poi ricordare Carlo Cassola, che aderì entusiasticamente alla marcia. Proprio nel 1976 diede alle stampe un suo saggio, illuminante: “Il gigante cieco”. Un lavoro che affrontava i rapporti tra intelligenza e potere. Attualissimo.
Se faccio il nome di Ugo Dessy e Pietro Pinna, come “campioni” sardi dell’antimilitarismo d’allora, e ti chiedessi di indicarmi chi oggi tiene alta la bandiera di quella lontana battaglia…
Erano figure molto diverse. Qui in Sardegna abbiamo bisogno sempre di toni alti, dell’esasperazione. Pietro era un sardo atipico, sembrava inglese, understatement fatta a persona, ma più duro dell’acciaio. Ugo, invece, partiva da presupposti anarchici, era uno di quelli che mise in giro la voce della base dei sommergibili a Cagliari, nella Grotta dei Colombi, una puttanata. L’antimilitarismo non ha bisogno di queste sparate, perché il militarismo è dentro la società più di quanto si pensi. Oggi in Sardegna non vedo tante persone generose…però Mariella Cao sì, è una di queste, il comitato Gettiamo le basi ha fatto un lavoro eccezionale.
Rispetto ad una reazione ancora lunga e debole della politica, mi sembra di capire che a questa venga sostituita dalla magistratura, coi processi e le inchieste su Quirra e Teulada…
Sì, per forza, tanto più se il diritto alla salute continua ad essere negato. Più che altro oggi è maturato in uno strato largo della popolazione la consapevolezza del diritto alla salute
Il 25 aprile del 1974 – festa della Liberazione – Roberto Cicciomessere veniva rinchiuso nel carcere militare di San Bartolomeo, a Cagliari, quasi una beffa. Di quel carcere che non ospita più obiettori di coscienza totali, tu cosa faresti?
Un villaggio residenziale, internazionale, per le arti. Tutte le arti, per poi disseminare di arte le nostre città e paesi. Il mondo ha bisogno di arte, con l’arte non si fa la guerra.
Massimo Manca