Corruzione, burocrazia, lentezza, scarsa attenzione al quotidiano delle persone: da tempo immemorabile il mondo della politica è circondato da un’aura negativa di sfiducia e distacco. Se proviamo però a ricordare che la politica è nata per curare le relazioni delle persone e per gestire la cosa pubblica, se proviamo insomma a pensare che in fondo sia qualcosa di buono per gli uomini, allora ci rendiamo conto di quanto è importante capirne il funzionamento, i ruoli, gli interessi, il valore. Al tema, di grandissima attualità visto la sfiducia crescente verso lo Stato e le sue istituzioni, è dedicato il corso “E se la politica fosse una cosa buona?” in programma a Cagliari tra ottobre e novembre (qui i dettagli).
L’idea di una scuola di politica, la prima del genere a Cagliari, è di Luigi Manconi, sassarese, senatore del Pd e presidente della Commissione Diritti Umani nella precedente legislatura. A lui e a Federica Graziani, attivista dei diritti umani e collaboratrice dell’Ufficio nazionale antidiscriminazioni razziali, il compito di curare le lezioni (riservate a un massimo di quaranta persone). Il corso, per un totale di 48 ore distribuite in quattro fine settimana tra ottobre e novembre, si svolgerà nel campus Aresu, in via San Giorgio a Cagliari. A organizzare, la libreria Edumondo in collaborazione con il Dipartimento di scienze sociali e delle istituzioni dell’Università di Cagliari, l’associazione A Buon Diritto, l’Osservatorio per la giustizia di Cagliari e la rassegna letteraria Storie in trasformazione. Tre i principali temi trattati: cos’è la politica tra bisogni, interessi e valori; i luoghi della collettività dove si fa politica; l’azione pubblica. L’ultima giornata ospiterà invece le riflessioni conclusive. Nel corso delle lezioni è previsto un approfondimento a cura di Patrizio Rovelli e Simone Pinna su “Giustizia e politica, dalla Costituzione Repubblicana al giustizialismo populista”.
Luigi Manconi, perché un corso di politica?
Nonostante il profondo discredito che oggi circonda l’attività pubblica, ci sono ancora persone convinte che senza una azione collettiva, senza la capacità di perseguire insieme il bene comune, non vi sia salvezza. Finora l’umanità non ha inventato un modo diverso dalla politica per affrontare e cercare di risolvere le grandi questioni che la vita associata solleva, come la distribuzione della ricchezza, i diritti, il perseguimento degli interessi comuni: e dunque è meglio cercare di salvare la politica che conosciamo, rinnovandola, piuttosto che abbandonarla a coloro che ne fanno pessimo uso.
E a proposito di pessimo uso, cosa pensa della recente vicenda di Sassari, una cerimonia funebre fascista andata in scena nel sagrato di una chiesa in pieno centro?
Che vi siano tentazioni fascistiche è qualcosa di orribile e allo stesso tempo fisiologico: anche i periodi più foschi del passato, in questo caso il fascismo, incontrano dei cultori. Il problema è non tanto che un fatto del genere accada, quanto che segua o meno una reazione adeguata, come per fortuna è accaduto in questo caso.
C’è chi pensa che la politica nella sua forma tradizionale sia superata: blog, consultazioni on line, dialogo diretto tra politici e cittadini attraverso i social network.
La politica on line può integrare la politica classica, non sostituirla. Per un motivo molto semplice: la politica esige una comunità, che vi sia scambio, incontro, faccia a faccia, la presenza di più persone all’interno di un unico luogo fisico. Ma rinunciare alla fisicità delle relazioni tra gli esseri umani nell’azione politica significa condannarci alla solitudine. L’idea che si possa fare politica con un click è a mio avviso un’idea sostanzialmente disperata. La politica deve avvenire nei luoghi delle persone, i mercati, i cantieri, le piazze, le sedi dei partiti, i consigli comunali, i cortei, gli incontri, basta che vi sia una relazione. Senza relazione non c’è politica.
C’è anche chi pensa che la politica non abbia più bisogno della mediazione di giornalisti, editori, sindacati.
La disintermediazione, di cui si parla moltissimo di recente e soprattutto in relazione al Movimento 5 Stelle, in realtà è un processo avviato da almeno un quarto di secolo. Stiamo rischiando di andare verso una società privata di ciò che costituisce la società stessa, cioè il legame sociale. Questa relazione diretta tra politica e cittadini è giusta ed è sempre stata praticata, ma per non essere autoritaria e non schiacciare il più debole deve passare attraverso organismi collettivi. L’illusione che il rapporto diretto tra cittadino e istituzioni avvantaggi il cittadino è una sciocchezza, il cittadino nel rapporto diretto con l’istituzione, il parlamento, la classe politica è infinitamente più debole del cittadino che entra in rapporto con la classe politica attraverso organismi collettivi. Ogni organismo collettivo crea comunità e rafforza l’interlocuzione tra l’individuo, le istituzioni e lo stato.
Un antidoto all’antipolitica potrebbe essere la reintroduzione dell’educazione civica a scuola: è favorevole?
Non vorrei che fosse solo l’istituzione scolastica a farsi carico di formare cittadini migliori. Sono sempre stato favorevolissimo a riportare l’educazione civica in classe, però negli ultimi 40 anni la povera scuola pubblica è stata gravata dal compito di insegnare ecologia, legalità, lotta antimafia, Costituzione. Sarebbe bello che chi è appassionato di politica ci si potesse dedicare senza imposizioni: a questo servono le scuole di politica, per conoscere e approfondire in libertà.
Francesca Mulas