Dalla vita politica si è ufficialmente ritirato. Ma col suo blog Sardegna e libertà fa più opposizione del Pd. Il professore c’è, insomma. Paolo Maninchedda – per metà sassarese e per l’altra di Macomer – ha sviluppato nel tempo una dipendenza dal rigore amministrativo. Dal buon governo. Dalla speranza per quest’Isola a tratti disgraziata. L’esatto contrario di quanto sta succedendo nella Regione dei pasticci e delle inchieste giudiziarie, una legislatura targata centrodestra: per Maninchedda la prima senza un mandato politico, da quando nel 2003 abbracciò il Progetto Sardegna di Renato Soru, col quale l’anno dopo arrivò in Consiglio regionale. Poi la fuga dal centrosinistra. Fu direzione Psd’Az. Quindi il ritorno con Pd e alleati e l’incarico da assessore ai Lavori pubblici, prima delle clamorose dimissioni al quarto anno di governo. Parallelamente il Pds, il Partito dei sardi, di cui Maninchedda è stato ideologo sino al capolinea nel 2019. Dopo quindici anni di progetti, programmi e anche bastonate sui denti, il nome di Maninchedda, Ordinario di Filologia romanza all’Università di Cagliari, continua a circolare sottotraccia come possibile candidato governatore. Lui, l’intellettuale più in forma di questa stagione culturale che arranca.
Professore, negli anni ha fatto in tempo a sviluppare simpatie e apprezzamenti che arrivano da sinistra e da destra. Tanti la stimano ma i nemici non le mancano: perché molti non vogliono che faccia il presidente della Regione?
Non lo so. Mia moglie dice che quando capisco una cosa, non riesco a non dirla. Forse è
per questo. Forse so essere amico, ma non complice. Non lo so.
Eppure sinistra e destra dicono che lei sarebbe un ottimo governatore. Ma si è ritirato o no?
Intanto tra il dire e il fare c’è una bella differenza. Torniamo al punto di prima: forse non mi
vedono adeguatamente disciplinato alle logiche di gruppo. Un po’ è vero: vedo spesso i
gruppi come branchi e temo le passioni delle masse, le logiche del linciaggio.
Ci sono o no le condizioni per una sua presidenza?
Non credo ci siano le condizioni per un governo come io lo immagino. Io lavorerei a
cambiare in profondità la struttura dei poteri e della produzione della ricchezza. Li renderei
più dinamici e aperti. Aumenterei la libertà dei sardi. La classe dirigente della nostra Isola non è
pronta: mi ammazzerebbe dopo due mesi, se mi vedesse dotato del potere per cambiare
gli aspetti strategici del sistema Sardegna.
Quindi non si è ritirato, sta aspettando…
Non sono in attesa di alcuna candidatura, mi creda. Sto bene come sono dove sono.
Cosa vuol dire “cambiare la struttura dei poteri”?
I sardi non hanno coscienza dell’architettura dell’egemonia. Del comando. Non hanno coscienza di chi decide per loro. Ci sono poteri formali che agiscono secondo il perimetro delle leggi e poteri informali che agiscono di fatto, non per una delega, ma per una potenza conquistata sul campo.
Un esempio di potere informale?
Chi decide i prezzi in Sardegna? È una domanda tanto banale quanto
strategica. Eppure i sardi pensano che il prezzo sia definito da un’entità immateriale come
il mercato. Invece no. Il prezzo è fatto da chi è più forte sul mercato, non dal mercato. È
diverso. In un’Isola, dominare la piazza della contrattazione è più agevole che in un sistema aperto. In Sardegna non si sta ragionando seriamente sull’oligopolio della Grande distribuzione
organizzata.
I poteri formali?
Se viceversa ci chiediamo: chi decide le regole del mercato dei trasporti? La risposta dei
sardi sarebbe unanime: l’Unione Europea. Invece è vero solo in parte. Il gioco è a quattro:
Regione, Stato italiano, Unione europea, compagnie aeree e navali. Ad oggi il più forte è
il quarto soggetto: le compagnie, le quali controllano il mercato con la forza economica e
con i loro uffici legali, sempre pronti a portare in tribunale i funzionari pubblici e a chiedere
loro conto dell’utilizzo delle risorse regionali, statali ed europee. La paura fa novanta e lo spazio
dell’intervento pubblico ne risulta inibito, mentre aumenta la percezione, errata, che il
mercato garantisca naturalmente i diritti. Niente di più sbagliato. Ma il potere formale più
ingiusto è il fisco.
Bisogna pagare le tasse, non crede?
Giusto pagare le tasse, altro è ritenerle giuste. La Sardegna dovrebbe avere un fisco
mediterraneo non italiano. Il fisco della vera Isola del Mediterraneo dovrebbe tener conto del luogo in cui essa è immersa, e non solo della struttura della ricchezza e del sistema
fiscale della Repubblica italiana. Noi abbiamo bisogno di attrarre popolazione e la nostra
storia ci dice che sono due gli attrattori: la libertà e la convenienza. I sardi, oggi, non sono
per niente attrattivi in entrambi i fronti.
È stato il padre dei cantieri comunali verdi che hanno utilizzato, per il tramite degli enti locali, i lavoratori in cassa integrazione.
La sinistra la accusa di clientelismo e la destra di assistenzialismo. Rifarei tutto. Meglio il lavoro che l’assegno a casa. Non è né clientelismo né
assistenzialismo, è attenzione, cura, libertà e un po’ di socialismo.
È socialista?
Io sono un’azionista a base cristiana, con innesti socialisti, gramsciani e liberali.
In quanti siete?
Pochissimi.
Una scelta socialista?
Appunto l’uso delle risorse pubbliche per produrre lavoro. Garantire la salute, l’istruzione,
la previdenza. Ma anche lavorare per il libero accesso senza numero chiuso ai corsi
universitari. Promuovere l’open science.
Scelte azioniste?
La sovranità della legge; la vera laicità dello Stato; garantire sempre la libertà delle
persone di fronte al potere dello Stato; distinguere il ruolo dei partiti da quello dello Stato;
garantire l’imparzialità della pubblica amministrazione.
Perché la Sardegna sarebbe una nazione?
Perché sente di esserlo senza volerlo. Prima o poi lo vorrà.
La differenza tra indipendentisti e autonomisti?
I primi credono che la sovranità della Sardegna risieda originariamente nel popolo sardo; i
secondi pensano che la sovranità sia del popolo italiano che ne delega parti alla Regione.
Chi ne è consapevole con questa chiarezza?
Pochissimi, ma l’importante è che esistano.
Sanità pubblica o privata?
Io sono per la sanità pubblica, perché penso che la salute sia un diritto, e penso che i
privati possano e debbano agire dentro il perimetro delle regole fissate dallo Stato. Cioè,
per capirci: io Pubblico traccio le regole e stanzio le risorse; tu Privato che accetti le mie
regole, puoi raggiungere i miei obiettivi con un’organizzazione del servizio di tipo
privatistico. Se mi fai risparmiare, sei più efficiente, ci guadagni e dai lavoro, benvenuto.
Perché in Sardegna la sanità non funziona?
Perché a governarla sono da troppo tempo persone che non hanno un’idea di sistema, o,
se ce l’hanno, nei fatti la subordinano alla fazione sanitaria cui appartengono. Ci vuole
visione. In secondo luogo, il prossimo assessore deve avere un adeguato senso del
proprio ruolo e non farsi subornare dalle lotte fratricide tra primari. Deve essere fermo e
imparziale, portare a un rinnovamento non dinastico dei primariati, dare le risorse ai reparti che salvano realmente le vite, usare come parametro di efficienza il Piano nazionale esiti.
Insomma, ragione e rivoluzione.
La magistratura.
Non parliamone.
Sente di essere stato un perseguitato?
No, io no. Io sono stato contrastato. Altri sono stati perseguitati, senza dubbio. La
magistratura, in Sardegna, dai tempi della rivoluzione di fine Settecento, ha sempre
partecipato alla lotta politica, anziché astenersene.
Ma lei, alla fine, cosa rimprovera ai magistrati?
La presunzione morale. Rimprovero loro l’utilizzo dei pregiudizi politici come moventi delle
indagini. Rimprovero la sciatteria nelle indagini.
Un esempio?
In un processo, recentemente, un testimone d’accusa, le cui deposizioni in istruttoria
avevano determinato degli arresti, in giudizio ha affermato di non aver mai rilasciato quelle
dichiarazioni. In un Paese normale o lui o la Polizia giudiziaria sarebbero stati indagati.
Invece no. Tutto normale. Tizio può accusare Caio di alcuni reati e poi rimangiarsi tutto e
non succede nulla. Perché? Perché l’obiettivo degli arresti era già stato raggiunto. Uno
schifo inaudito. Quando ero assessore, ogni starnuto della maggioranza o dell’opposizione
contro di me provocava un’indagine. C’era un via vai di carabinieri e finanzieri in
assessorato che neanche nelle caserme. Mi hanno distrutto moralmente dando fiato alle
dicerie.
Dicerie istituzionali?
Un amico mi ha confidato che d’estate, il suo vicino di ombrellone, ufficiale dei Servizi
segreti in pensione da poco, dinanzi al mio nome aveva reagito come se a loro risultassi
essere una sorta di eversore.
Lei?
I Servizi che inventano eversori: si guardassero loro in casa.
Mi pare che esageri. Ci sono ottimi magistrati.
Vero. Ha ragione. Vale sempre la regola che i migliori sono rari, in ogni settore.
Lei ha ripetutamente sollevato la questione morale come caratteristica vera della
Giunta Solinas. Politica o moralismo?
Ma scherza? Il moralismo è quello di chi usa la vita privata dei politici per distruggerli,
all’americana. Il moralismo è degli invidiosi della vita altrui. No, per me la questione morale
è una questione di Stato. Un uomo politico è immorale quando non ha senso dello Stato,
cioè non ha visione, non rispetta le leggi, viola la libertà delle persone, si concentra sulle
sue piccole ambizioni, premia i peggiori per odio verso i migliori che gli ricordano la sua
insufficienza. Questa è culturalmente la questione morale dell’epoca Solinas.
Il popolo lo ha votato…
Verissimo. Dobbiamo sempre tener conto che l’orientamento popolare non è mai raffinato,
frutto di complessi ragionamenti. Il problema è proprio come far diventare popolare la
politica di qualità, posto che la peggiore politica sollecita sempre i vizi e non le virtù,
perché i primi sono più diffusi e facili da soddisfare. Bisogna semplificare la qualità e la
virtù, tradurle in emozioni facili da comunicare e da capire. Non è semplice.
Si dice che lei sia ‘freddo‘.
Balle.
E allora diciamo che lei appare ‘freddo’.
Ma cosa vuol dire ‘freddo’? Che non metto in piazza i fatti miei? Che non giro per locali e
ristoranti? Che non faccio baldoria e non mi riprendo con il cellulare?
No, forse vogliono dire che se la tira.
Eh, doloroso giudizio, per me! Non so rispondere. Mi ripeto da anni alcuni versi di Metastasio: “Se ciascun l’interno affanno / sul suo volto avesse scritto / quanti, ormai, che invidia fanno / ci farebbero pietà”.
Lei è amico di Antonello Cabras?
Sì, a a dispetto dell’invidia che lo circonda.
Che significa?
L’invidia, in chi la prova, fa ingigantire le altrui responsabilità e ne diminuisce i meriti. Gli uomini, per un frainteso senso di libertà, spesso mordono la mano di chi fa loro del bene. Antonello ha le mani piene di cicatrici. Sono suo amico non perché la pensiamo allo stesso modo, ma
perché è un socialista buono.
Come vede il Pd sardo oggi?
Mi pare stia incubando qualcosa che ancora non si vede. A mio avviso l’abbandono
dell’autonomismo e del dialogo con l’indipendentismo democratico è stato un errore. Il Pd
non può essere solo il partito delle questioni di genere. O è un partito sociale, e dunque si
occupa di lavoro, scienza, tecnologia, scuola, salute, ricchezza, fisco, casa ecc, o perde la
sua ragion d’essere. O è un partito radicalmente sardo o si perde. Con loro, però, bisogna
aver pazienza, ci mettono molto, ma alla fine arrivano, qualche volta deragliano, ma ci
sono.
Lei sostiene la nascita di una grande alleanza per sconfiggere la destra di Solinas, mentre nel Pd sono fortemente orientati a chiudere prevalentemente con i Cinquestelle?
Assolutamente sì, io sono per le grandi alleanze; sono per recuperare tutte le vittime delle
guerre fratricide a sinistra e anche nella destra liberale. Purtroppo è un progetto a cui
nessuno sta lavorando, ma che è già presente tra la gente.
Una grande alleanza fondata su che cosa?
C’è più unità a dichiararsi alternativi al disastro di Solinas che a costruire una base
ideologica comune. Bisogna fare come dopo la fine della guerra: tutti insieme purché non
riaccada ciò che è accaduto, cioè il peggio, la mediocrità, il pressapochismo, la
sfacciataggine al potere. Tutti insieme a fare cose normali: una scuola di qualità, una
sanità di qualità, buoni trasporti, un’amministrazione pubblica finalmente efficiente e
imparziale, lavoro, open science, mare e terra puliti. Cose normali, cose giuste.
Ha rapporti difficili con i sindaci di Bosa e di Olbia.
Ma no, non è vero. È solo un virile confronto politico sul contrasto al rischio idrogeologico.
Loro ritengono di avere tempo con l’acqua, e dunque di poter fantasticare sui progetti per
le opere di mitigazione; io penso che l’acqua, quando dà tempo, sta preparando il peggio. Niente di personale.
Perché la Sardegna è in ritardo sulle politiche di contrasto al rischio idrogeologico?
Per il valore dei terreni privati interessati dai vincoli. Bisognerebbe metterci la testa e
pagarli anche il doppio di ciò che valgono, pur di essere rapidi nelle azioni di tutela e di
contrasto. L’altro motivo è dato dalla folle legislazione italiana sugli appalti: a furia di voler
contrastare gli imbroglioni, si è riusciti a dissuadere gli onesti dal partecipare a gare
impossibili.
È amico dell’ex sindaco di Assemini, Mario Puddu. Il centrosinistra lo contrasta.
E io gli resto amico. Mario è stato una vittima della sua parte e dei media, linciato sulla
pubblica piazza, costretto a rinunciare alla gara per la presidenza della Regione per un
avviso di garanzia. Il suo esperimento politico merita attenzione.
Ha scritto che il direttore di Coldiretti Luca Saba sarà il prossimo candidato alla
presidenza della Regione.
Ne sono convinto, sempre che riescano nella non semplice operazione di liberarsi di
Solinas. Saba è molto stimato dal ministro Lollobrigida. Dovrebbe rifletterci il Pd che ne ha
favorito la presenza nella principale banca sarda. Il Pd ha incubato il suo avversario. Dovrebbe pensarci.
Ultimo libro letto?
L’epistolario di Abelardo e Eloisa.